Qualcuno sostiene che Jeroen Dijsselbloen, il presidente dell’Eurogruppo, “a differenza di altri che parlano senza dire nulla è uno che dice le cose come stanno”. Altri sospettano che questo sia vero, ma che lui non capisca bene come stanno le cose. Ieri il neo capo dell’Euroclub e ministro delle Finanze olandese, ha fatto crollare i mercati, che avevano preso una buona piega dopo l’accordo per il salvataggio di Cipro, perché ha candidamente risposto ad una difficile domanda. “Lei pensa che questo sia un modello?” ha domandato un giornalista dell’agenzia Reuters chiedendo un commento sull’accordo. “Quello che abbiamo fatto la scorsa notte (la notte di domenica, ndr) è quello che chiamo cacciare indietro il rischio”, ha riposto Dijsselbloem. Dimenticando di dire ciò che ha fatto dire, ore ed ore dopo, al suo portavoce, che “Cipro è un caso specifico” e che “non esistono modelli fissi”. Intanto le Borse crollavano sull’idea, avvalorata dal seguito della lunga intervista, che d’ora in poi sarà possibile risolvere le crisi chiudendo le banche a distanza, da Bruxelles, e prelevando soldi dai conti correnti. Finché si parla di Cipro, con un’esposizione di qualche miliardo, forse una ventina, forse va anche bene, ma trasportare lo stesso sistema ad esempio in Italia, dove nei conti i miliardi sono centinaia è un’altra questione.
Dijsselbloem non ha il problema di essere giovane, ha quasi 47 anni, solo quattro in meno del suo predecessore Jean-Claude Juncker quando assunse l’incarico. Il problema non è neanche che viene da un piccolo paese, perché la sua Olanda ha circa 35 volte gli abitanti del Lussemburgo di Juncker. Neppure, cercando, la questione è che non lo voleva qualcuno. “Il posto toccava ad un olandese”, spiegano a Bruxelles, per molti motivi, perché serviva qualcuno di un Paese “sano”, perché un tedesco non era adatto, perché comunque è meglio che sia qualcuno di un paese “medio”. Il guaio è che lì, in Olanda, il ministro delle Finanze oggi è un laureato in economia agraria (il suo nome tra l’altro contiene la parola “fiore” in olandese), non un economista. Ed è uno che mai prima dello scorso novembre è stato ministro, che ama allevare maiali nella sua casa di campagna e che non parla francese (cosa che a Bruxelles è ancora giudicata una lacuna grave).
Quella di ieri è la sua seconda (se non terza) grave scivolata. In un paio di settimane non è male come carnet. La prima è stata quella di sancire un accordo che prevedeva che tutti i conti correnti ciprioti, anche quelli sotto la soglia dei 100mila euro protetta da una direttiva Ue, fossero oggetto di un prelievo forzoso. Un accordo rozzo, troppo “semplice”, che infatti non ha retto ed è stato respinto, senza neanche un voto a favore, dal Parlamento di Nicosia. Poi Dijsselbloem, con il suo perfetto inglese ed il look piuttosto ricercato, è andato in Parlamento europeo per dire che “se c’è un responsabile di questa decisione sono io, avrei dovuto impedirlo”, restando però al suo posto. Poi ha anche aggiunto che “è vero che questa scelta ha minato la fiducia, ma il dibattito tra i ministri è stato più duro della risposta dei mercati”. Come a dire, sì, abbiamo sbagliato tutto, ma siamo talmente poco influenti che i mercati non hanno nemmeno reagito. Questa volta hanno voluto credergli, e la reazione si è vista. Non sempre sbagliando si impara. E la nostalgia per Juncker in Europa aumenta. Non che avesse la bacchetta magica, anzi, ma era certamente meno naif.
Lorenzo Robustelli