L’altro giorno una mia allieva di chitarra che avrà si e no sedici anni, tira fuori un libro enorme sui Beatles, mi dice Voglio fare una di queste.
Va bene, le dico, lo sfoglio un po’ vedo Helter Skelter, le dico Facciamo Helter Skelter?
No, mi risponde.
Ah, faccio io, e perché no?
Perché non mi piace molto, mi risponde.
Allora io sono tornato indietro di venticinque anni, e mi sono ricordato che invece a me piaceva un sacco, Helter Skelter.
Mi sono anche messo a pensare che a casa mia c’era il vinile, del cosiddetto White Album dei Beatles, che era uscito nel 1968, ma se devo essere onesto, Helter Skelter si è fatta largo nella mia corteccia cerebrale in quanto apertura di Rattle and Hum, storico album degli U2, uscito esattamente venti anni dopo, nel 1988.
Venticinque anni esatti dal mio approccio a Helter Skelter.
Me lo ricordo perché mio papà aveva comprato il nostro primo lettore CD, un Sony portatile, che oggi chiamarlo portatile farebbe ridere, e Rattle and Hum fu uno dei primi tre CD a varcare la soglia di casa, insieme al primo album degli Iron Maiden e al Bolero di Ravel.
Ecco, io non sono mai stato un fan degli U2. Ve lo giuro.
Però aprire un album nel 1988 con una cover dei Beatles suonata dal vivo, con tutte le porcherie che giravano a quel tempo, era stata una scelta forte.
Per questo io volevo far suonare Helter Skelter alla mia allieva, invece niente.
Ha poi scelto The Continuing Story Of Bungalow Bill, altro bellissimo brano del 1968, sempre dal White Album.
Con mia somma gioia, visto che Helter Skelter è MI, SOL, LA, mentre The Continuing Story Of Bungalow Bill, lo si capisce già dal titolo, è DO, SOL7, DO, FAm, Do, FAm, SOL7, LA, MI7, LA, REm, LA, REm, MI7, per non parlare del ritornello.
Poi dopo la lezione ho preso il tram per tornare a casa, non c’era molta gente che era già tardi, a un certo punto sale una ragazza carina, si siede davanti a me. Che bello, ho pensato, una ragazza carina.
Solo che la ragazza carina apre la borsa, traffica un po’, poi comincia a strapparsi delle unghie e mettersene delle altre nuove. Per avere le mani libere si mette in bocca un tubetto di colla, toglie un’unghia vecchia, gratta via un po’ di schifezze, prende la colla dalla bocca, se la mette sul dito, ci appiccica l’unghia nuova. E via una, avanti l’altra.
A me questo misto di tram sporco, colla in bocca, sbriciolarsi addosso le cuticole e appiccicarsi le unghie, voglia scusarmi l’editore, più che una figa mi ha fatto venire in mente La Mosca, quel film di Cronenberg del 1986 con Jeff Goldblum e Geena Davis, quando lui si accorge che comincia a perdere i pezzi, partendo appunto dalle unghie.
Incuriosito da questo gesto impavido e screanzato, arrivo a casa e mi guardo su YouTube una serie di tutorial sulle unghie finte, di cui vi faccio un riassunto:
– “Il gel in rimozione non va mai rimosso completamente del tutto”
– “Lo so che la registrazione non è delle migliori però non so come mai non sia venuta bene bene bene perché mentre registravo vedevo e si vedeva bene”
– “Dovete lasciare una lunghezza molto corta”
– “Dovete togliere la prima platina dell’unghia in modo che la colla può aderire bene”
Beh, mi sembra tutto chiaro, no?
Ma non mancano le versioni scritte, tradotte non voglio sapere come, ad esempio:
– “Unghie finte da incollare, pasta, calce, salviette disinfettanti e polissoire”
– “Disinfettare il chiodo”
– “Accorciare l’unghia con un file”
– “La scelta di un chiodo falso corrispondente alla dimensione del chiodo”
– “Non dobbiamo avere bolle d’aria sotto il chiodo falso!”
Insomma, direi che ci siamo capiti.
Alla prossima settimana quindi, e mi raccomando…
Niente bolle d’aria sotto il chiodo falso!
Ru Catania