L’Italia ospita la tappa europea del Dana Alliance for Brain Initiatives
Un’interfaccia cervello-computer in grado di muovere avatar e robot esterni ed è stato progettato dal Laboratorio di Neuroscienze Cognitive e Sociali della Sapienza
In un futuro non lontano, chi ha maltrattato una donna potrebbe dover rivivere i tormenti inflitti in prima persona attraverso la realtà virtuale. Non è la trama di un film di fantascienza, ma una tecnologia realmente esistente al centro del convegno “Neuroscienze in Società”, indetto all’interno della Brain Awareness Week dal Dipartimento di Psicologia dellUniversità la Sapienza di Roma, in collaborazione con la Fondazione Santa Lucia e la Charles Dana Foundation. Attraverso l’utilizzo di stanze chiamate Cave (Cave Automatici Virtual Environment) e occhiali HMD (Head Mounted Display) si stanno sperimentando terapie virtuali, nelle quali il protagonista di un atto violento viene messo nei panni della persona che ha subito tale violenza.
“La tecnologia viene usata per far assumere al carnefice la prospettiva visiva della vittima”, spiega il ricercatore del Dipartimento di Psicologia della Sapienza Matteo Candidi. “Le conoscenze scientifiche attuali – continua lo scienziato – indicano che questa possibilità è sufficiente a comunicare un forte senso di presa di prospettiva corporea. Le potenzialità della Realtà Virtuale Immersiva sono legate alla possibilità di indurre uno stato mentale senza applicare nessuna reale stimolazione sensoriale. Nei progetti sviluppati non viene inflitta nessuna sensazione dolorosa. L’approccio ha dunque uno scopo preventivo, e non certo punitivo”.
In pratica, per il colpevole del reato spesso sarà sufficiente “vedere” ciò che ha fatto dal punto di vista di chi ha subito il maltrattamento per attivare una sorta di empatia e dissuaderlo dal delinquere ancora. “La chiave di questo meccanismo – afferma Candidi – è la capacità cerebrale di simulare automaticamente lo stato emotivo della persona che si trova in quella data prospettiva visiva. Questo processo è alla base di molte funzioni cognitive importanti nella sfera della socialità, come ad esempio l’empatia stessa”.
Il sistema per la Realtà Virtuale Immersiva funziona grazie a un’interfaccia cervello-computer in grado di muovere avatar e robot esterni ed è stato progettato dal Laboratorio di Neuroscienze Cognitive e Sociali della Sapienza – SNC Lab, diretto dal professor Salvatore Maria Aglioti. Questa nuova tecnologia, che ha suscitato interesse in tutta Europa, promette molti altri interessanti sviluppi anche in campo medico. È ad esempio possibile far muovere nella realtà virtuale persone immobilizzate da lesioni del sistema nervoso e dare loro la possibilità di interagire con gli altri con la sola forza del pensiero. “Esiste la possibilità di utilizzare la Realtà Virtuale per permettere a individui affetti da lesioni spinali di sentirsi in un corpo sano – conferma il ricercatore della Sapienza – e potenzialmente di interagire col mondo in modo svincolato dai limiti motori inflitti dalla patologia”.
La Brain Awareness Week, all’interno della quale viene presentato il progetto della Realtà Virtuale Immersiva, è un’iniziativa nata per divulgare ogni anno al pubblico esterno gli studi di neuroscienze in tutto il mondo e per fare il punto sulle nuove conoscenze scientifiche sul cervello e sul sistema nervoso umano. The Dana Alliance for Brain Initiatives fondò questa campagna globale nel 1996 e più di 2.800 partner in 82 paesi diversi hanno partecipato all’iniziativa fin dal suo inizio. Quest’anno il continente ospite è l’Europa e il paese organizzatore l’Italia.
All’incontro di Roma, dall’11 al 13 marzo, partecipano fra gli altri il professor Mel Slater e la professoressa Mavi Sanchez Mives dell’Università di Barcellona, il professor Massimo Bergamasco della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e la giornalista e scrittrice italiana Concita Di Gregorio.
Laura Gobbo
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