E’ stata una brutta campagna elettorale per l’Europa. Il segretario del PD Bersani avrebbe dovuto far capire ai suoi elettori che tipo di Europa aveva in mente. Dire oggi: “Fuori dalla gabbia dell’austerità” è una posizione velleitaria e contraddittoria. Basterebbe ricordargli che forse poteva dire la sua prima, quando il trattato sul Fiscal Compact è stato approvato al Senato il 12 luglio 2012 (216 sì, 21 astenuti e 65 no) o alla Camera dei Deputati il 19 luglio (368 sì, 65 astenuti e 65 no). L’Europa avrebbe dovuto essere non uno dei punti del programma, ma il programma stesso. Il dibattito non si può ridurre a dire “ma sì, più Europa”, e finire lì il discorso.
Che tipo di società europea vogliamo?
Ci piace il modello ispirato al neoliberismo di marca anglosassone?
Vogliamo un New Deal come quello di Roosevelt? Sì! Bene. Come lo facciamo? Se c’è il Fiscal Compact, sarà difficile riuscirci a livello nazionale. Dove li prendiamo i soldi per un New Deal?
E’ il federalismo europeo la sola risposta ai problemi della globalizzazione, soprattutto quella finanziaria?
Che politica possiamo fare in Italia se la politica monetaria, quella di bilancio e quella di cambio sono fuori dal controllo del nostro Stato? Rivogliamo questi poteri?
Come dice il grande filosofo tedesco, Habermas, nel suo ultimo libro: “Di fronte al peso inaudito dei problemi sarebbe da attendersi che i politici, senza se e senza ma, finalmente mettessero le carte europee in tavola e con piglio aggressivo chiarissero alla popolazione tra costi a breve termine e utilità vera, dunque l’importanza storica del progetto europeo. Dovrebbero superare la loro paura delle tendenze d’opinione emergenti dalle indagini demoscopiche e confidare nella forza persuasiva dei buoni argomenti. Alla soglia che dall’unione economica porta a quella politica dell’Europa, la politica sembra trattenere il fiato e stringere il capo tra le spalle. Perché questa cataplessia?”
La prima cosa che gli eletti del movimento 5 stelle noteranno non appena inizieranno il loro lavoro parlamentare è che su alcuni temi importanti, come la creazione di posti di lavoro, o il salario minimo sociale, al nostro Parlamento sono rimaste solo le briciole. Non ci sono più risorse, sul piano nazionale, per effettuare investimenti produttivi o per un reddito di cittadinanza. Tutto si è spostato in Europa.
Ci si potrebbe chiedere se la politica nazionale conta così poco, che senso ha passare mesi a fare elezioni nazionali e a discutere problemi la cui soluzione non è a Roma?
Detto questo, l’Europa va spronata da subito a fare politiche che possano creare posti di lavoro. Va subito lanciata una vasta mobilitazione per costringere chi decide in Europa (attualmente, quasi esclusivamente il Consiglio Europeo) a occuparsi di questi temi. Bisogna collegarsi con il Governo di Hollande in Francia che ha le stesse nostre esigenze e che su alcuni temi, come il salario sociale si sta già muovendo. Pierre Moscovici, il ministro delle Finanze francese sta facendo circolare un’idea interessante, e cioè il lancio di un Fondo Disoccupazione Unico a livello europeo. Per fare questo però bisogna anche discutere di un bilancio federale europeo che possa adottare politiche anticicliche. Attualmente, il bilancio federale americano rappresenta il 24% del PIL, quello della Svizzera il 12%, quello dell’Unione Europea solo l’1% e gli unici contribuenti sono gli Stati nazionali. L’idea di Moscovici è valida soprattutto perché un fondo del genere potrebbe diventare uno “stabilizzatore automatico” che aiuti a superare i periodi di crisi. In periodi di vacche magre, i paesi che hanno un alto tasso di disoccupazione riceverebbero un aiuto.
L’Italia ha la fortuna di avere la Presidenza del semestre europeo nella seconda metà del 2014, subito dopo l’installazione del nuovo Parlamento europeo e la costituzione della nuova Commissione, il cui Presidente, almeno così si spera, dovrebbe, per la prima volta, essere eletto direttamente dai cittadini europei.
Un’occasione imperdibile per dire come vorremmo che fosse l’architettura di una nuova Europa. L’Europa fatta dalle èlite può ancora essere riedificata dal basso. Basta con l’austerity nazionale voluta dai tedeschi. Non sarà sufficiente una legge anticorruzione per creare posti di lavoro. Nel 1944, prima di convocare la conferenza di Bretton Woods, il presidente Roosevelt organizzò un vertice a Filadelfia. “Il lavoro non è una merce”, dichiarò in quella sede. “Non potrà esserci una pace duratura in assenza di equità sociale”.
Forse è arrivato il momento di convocare un “vertice di Filadelfia” per mettere al centro la questione che più sta a cuore a tutti gli europei. Come creare nuovi posti di lavoro?
Come dice il Presidente del Parlamento Europeo Martin Schultz che lunedì scorso era a Roma alla Camera dei Deputati a presentare un libro su Napolitano: “L’Europa ha le sue responsabilità, non può permettersi di fare lo struzzo mettendo la testa sotto la sabbia. Deve chiedersi fino a che punto una strategia di solo rigore, senza forti misure per la crescita, abbia spinto in Italia un voto di protesta”.
Elido Fazi
P.s.: Vi ricordo che uscirà giovedì 14 il libro scritto da me e Gianni Pittella “Breve Storia del futuro degli Stati Uniti d’Europa”. Sarà disponibile in formato ebook anche una versione in inglese. Se qualcuno di voi è a Roma, ricordo anche che presenteremo il libro alle 21 di venerdì 15 marzo all’Auditorium insieme a Stefano Fassina e Antonio Tajani.