Bisogna fare in fretta, ci sono solo nove giorni (e qualche ora) di tempo ma si può evitare che il nuovo Parlamento entri in funzione. E si può continuare per un po’ ancora con il vecchio. Sarebbero contenti Cosentino da una parte, ma anche D’Alema e Veltroni dall’altra. Tutto resta com’era fino a prima del 24 febbraio, i partiti avrebbero un po’ di respiro, i grillini non entrerebbero a Montecitorio, e anche loro potrebbero metabolizzare la situazione.
Basta dichiarare una guerra. Ci sarà pure qualcuno a cui dichiarare una nuova “guerra giusta”! Ci sarà un dittatore sanguinario da qualche parte, qualcuno che sta organizzandosi per conquistare il mondo. Se non c’è lo si può creare, l’Italia lo ha già fatto con Saddam, di creare false prove, che ci vorrà a farlo con un pinco pallino qualsiasi di dittatore! Lo consente la Costituzione. All’articolo 60, proprio dopo aver stabilito che Senato e Camera durano in carica cinque anni (che prima il Senato ne durava uno di più e toccava sempre fare il voto anticipato perché i deputati non ci stavano che i senatori durassero di più) la nostra Carta fondamentale offre l’asso nella manica: “La durata di ciascuna Camera – scrissero i padri costituenti – non può essere prorogata se non per legge e soltanto in caso di guerra”. E’ una riga, controllate pure.
Ecco la via d’uscita. Finché le vecchie Camere sono ancora in carica si dichiara una guerra a qualcuno lontano, non è necessario poi farla davvero, basta che ci sia il “caso di guerra”, la Carta vola alto, non scende nel dettaglio di bombardamenti o carte annonarie, basta che si sia dichiarata una guerra che questa c’è. Si sceglie uno stato nemico potenziale lontano, si prende tempo per organizzare l’invasione, poi magari si rinvia di un po’ perché la stagione non è quella giusta, fa troppo caldo, o troppo freddo. Oppure, colpo di genio, si inventa il nome, un po’ come nei film degli anni ’30, si dichiara guerra alla Mandaronia, alla Pupponia, (non a Manfredonia, che è una città italiana e non varrebbe). E tutti lì a cercare dove sta questa Pupponia, a domandarsi qual è la capitale, e intanto alla Camera, tra grasse risate (ma fatte negli angolini, nei bagni, per non farsi scoprire dai giornalisti), si potrebbe continuare come prima. Oppure si potrebbe ragionare su come affrontare il dopoguerra, con Grillo sempre lì. Ma almeno non si sarebbe colti di sorpresa, si potrebbe cercare di capire cosa significano i milioni di voti ai Cinque stelle. Neanche Grillo avrebbe più la sorpresa di diventare il leader del primo partito italiano, e nel frattempo potrebbe pensare a cosa fare con il 25% dei voti una volta passato dall’altra parte, da quella di chi governa e non di chi protesta. Perché lui è lì che è stato chiamato a stare dagli elettori. Senza D’Alema, Fini, Cosentino, Veltroni, e neanche Di Pietro.
Lorenzo Robustelli