Secondo la Commissione Ue per due mesi, rispetto al salario di un uomo, una donna lavora gratis
In Italia va un po’ meglio, ma va malissimo per la quantità di disoccupate rispetto ai maschi
Per guadagnare quanto un uomo, in Europa, una donna deve lavorare 59 giorni in più all’anno. Un po’ come dire che dall’inizio del 2013 al 28 febbraio lui poteva stare a casa sul divano, per avere, a fine mese, la stessa busta paga della collega che fa lo stesso lavoro, con gli stessi titoli e la stessa anzianità.
Secondo stime della Commissione europea in media una donna, a parità di incarico, guadagna il 16,2% in meno di un uomo. Cifre che, nel tempo, tendono lentamente a diminuire a livello europeo, era il 17% nel 2010, e che in Italia sono già sotto il 5,4%.
Se a livello di stipendi le donne italiane possono, quindi, ritenersi in una posizione fortunata, almeno rispetto alle estoni che guadagnano un quarto del salario maschile, sul piano dell’occupazione, invece, hanno ancora molta strada fare.
L’Italia è maglia nera, seconda in Europa solo a Malta, per il divario tra il numero di donne e il numero di uomini disoccupati. Lo rivela uno studio pubblicato dal CsePragma, centro di studi socioeconomici, che ha analizzato il mercato del lavoro al femminile in Italia, tramite l’IRR, Indice Rosa Regionale, che consente di mettere in relazione mercato del lavoro e occupazione.
Questo nuovo strumento, analizzando nel dettaglio una molteplicità di dati locali, ha evidenziato innanzitutto, la frammentazione territoriale del fenomeno della disoccupazione rosa.
Così, per ottenere un’uguaglianza di genere a livello lavorativo, si legge nel rapporto, “la sola politica nazionale non è in grado di sintetizzare al meglio tale eterogeneità di condizioni, rendendo necessaria l’adozione complementare di strategie regionali e locali”.
Le soluzioni alla disoccupazione femminile, sempre da quanto risulta dallo studio, non si trovano nemmeno nel solo miglioramento dell’istruzione e formazione delle donne, che resta comunque un elemento determinante, ma analizzando anche altri “fattori congiunturali di tipo esogeno ed endogeno”. In altre parole, a bloccare tante italiane dall’ingresso nel mercato del lavoro, sono, ancora troppo spesso, fattori culturali, sociali o, più banalmente, la mancanza di adeguati servizi per l’infanzia. Dati Ue riportano che oltre il 10% della potenziale forza lavoro italiana è costretta alla disoccupazione o a un impiego part-time, a causa di responsabilità famigliari. È sul welfare che bisogna agire.
Bruxelles non può che affrontare il problema a livello generale, con iniziative quali il report pubblicato la scorsa settimana dal Parlamento europeo, con le raccomandazioni agli stati membri per un migliore mercato del lavoro al femminile, e la Giornata Internazionale della Donna, che ricorre ogni anno l’8 marzo.
Camilla Tagino