Non è andata male per l’Europa in questa campagna elettorale oramai agli sgoccioli. Se ne è parlato, e questo è già un passo avanti, che è stato fatto, nell’ultimo paio di anni, anche in tutti gli altri paesi dell’Ue nei quali si è votato. Da noi lo si è fatto un po’ peggio, spesso in maniera confusa o sciovinista, ma almeno si è tenuto presente da parte di tutti che siamo membri dell’Unione europea.
C’è chi l’ha presa in maniera patriottica come Francesco Storace, leader de “La Destra”, che ha tappezzato il Lazio con manifesti nei quali si rivendica il diritto degli italiani a scegliersi il proprio governo, con lo slogan impresso sopra una foto di Angela Merkel. Almeno si è reso conto che siamo in un sistema, dove anche posizioni di leader “stranieri” possono avere un rilievo interno. C’è anche Beppe Grillo, che a dire il vero non si capisce bene che posizione abbia, e che platealmente nel suo programma ignora l’Europa, “non siamo ancora maturi per parlarne”, dice candidamente un candidato di M5S.
Gli altri però ne parlano, eccome. Silvio Berlusconi fa il gradasso, promette sfarceli, minaccia l’abbandono dell’euro, dice che i leader europei gli fanno un baffo. Purtroppo è vero, è quello che ha sempre fatto, e sono proprio lì le ragioni per cui è caduto, per aver isolato l’Italia nel contesto dei Ventisette. Però si rende conto che l’Ue esiste, che non la si può ignorare, almeno formalmente, almeno per il tempo di riuscire a mettere in piedi un governo che duri poi quel che sarà possibile, e si dichiara “il più europeista di tutti”. Non la pensano così gli altri del Partito popolare europeo, dove malamente iniziò la sua ridiscesa in campo, facendosi subito squalificare e sostituire da Mario Monti nel gradimento dei leader del Ppe.
Il professore è chiaramente quello che di Europa ne sa di più. E’ stato scelto dai leader europei come premier italiano, Giorgio Napolitano ha favorito questo percorso, per poi, forse, pentirsene quando Monti è “salito” in politica. Non aveva capito il presidente della Repubblica l’ambizione dell’uomo e la lusinga, la pressione forte, probabilmente invincibile, che in Europa sarebbe stata fatta su di lui perché si candidasse al premierato. Monti è certamente un uomo che viene dai “poteri forti”, ma non nascosti, si sa che è uomo delle banche e della finanza, di una certa politica e con certe ambizioni. Non lo nasconde ed in Europa è stato, in questi 13 mesi, con assertività: si è piegato quando era inevitabile e spesso giusto, ma si è anche impuntato (ed ha vinto) quando ha ritenuto, e potuto. Certamente sa dove sta e con che regole si gioca.
Poi c’è Pierluigi Bersani, che di Europa parla anche lui con frequenza e che, come Berlusconi, ha anche lui iniziato la sua campagna elettorale a Bruxelles, dove nell’ultimo anno è venuto almeno tre o quattro volte. L’ultima è stata per incontrare i vertici istituzionali dell’Unione, ai quali si è presentato personalmente ed ha presentato le credenziali del Pd e del Pd quale partito che, più di altri, ha sostenuto l’azione di Monti in Europa. Gli incontri andarono bene, suscitando addirittura un certo entusiasmo da parte dell’allora presidente dell’Eurogruppo, il popolare lussemburghese Jean-Claude Juncker. Anche Bersani sa bene che il nostro agire, il nostro futuro, sono nell’Unione, ed in quel quadro ragiona.
Di Europa dunque si è parlato, ed è chiaro quali sono le posizioni e le politiche che si faranno. Gli elettori questa volta, anche se in modo ancora confuso, alle volte sbagliato, sono stati messi di fronte ad un quadro politico di riferimento un po’ più ampio (e più vero quanto a influenza nelle loro vite) di quello solo italiano. Hanno qualche strumento in più per scegliere.