Mi è piaciuto molto il discorso del presidente francese Hollande al Parlamento Europeo martedì scorso. È la prima volta che illustra in modo esaustivo il suo pensiero sul futuro e sul destino dell’Europa. Si tratta di un manifesto chiaro e lucido sui prossimi passi che dovranno essere fatti per arrivare a una sorta di unità economica e politica. Un discorso, pari per importanza a quello fatto dalla Merkel il 7 febbraio del 2012 presso un museo di Berlino. Anche Hollande è d’accordo con la Cancelliera che ora l’Europa ha bisogno di una più forte unione politica, altrimenti rimarrà semiparalizzata. La Francia è pronta per «lanciare un grande progetto per completare l’Unione Economica e Monetaria». Le elezioni europee dell’anno prossimo rappresenteranno una grande occasione per discutere del futuro dell’Europa e della sua nuova architettura istituzionale.
Secondo Hollande, i paesi dell’Unione in surplus hanno il dovere di rilanciare la loro domanda per poter permettere agli altri di rilanciare le loro attività e quindi esportare di più, riequilibrando così i loro conti con l’estero. Questo primo punto, riguardante non solo una politica monetaria comune, ma anche una politica economica comune, è fondamentale per mettere al sicuro l’euro nei prossimi anni. La crisi degli ultimi anni ha messo impietosamente in evidenza che la vecchia modalità di operare dell’euro non può continuare se non si riconosce che quello che per ora possiamo chiamare livello UE, in attesa di qualcosa di diverso che somigli a un governo federale, non opera anche come attore della politica economica di tutta l’area. Una moneta sovranazionale non può andare d’accordo con politiche economiche disegnate a livello nazionale, se i cicli economici dei vari paesi europei non coincidono. Per alcuni la politica monetaria diventa lassista, per altri troppo restrittiva. E lo stesso vale per il tasso di cambio. Per alcuni (Germania e Olanda) è troppo basso, per altri (Francia, Italia e Spagna) troppo alto.
Il secondo punto sollevato da Hollande è la riflessione sul posto che oggi occupa l’euro nel mondo. Si sta infatti scatenando a livello globale una guerra dei cambi che in qualche modo potrebbe essere comparata alle politiche protezionistiche degli anni Trenta. Non possiamo lasciare che l’euro continui a fluttuare nei confronti del dollaro, del renminbi e dello yen, abbandonandolo solo alle forze di mercato. Secondo Hollande, spetta alla politica definire una politica dei cambi, altrimenti si formano delle parità che non corrispondono allo stato reale delle economie. Non si tratta di assegnare un obiettivo alla Banca Centrale Europea (BCE), ma è l’Europa che si deve far carico di prendere l’iniziativa per una riforma del sistema monetario internazionale, oggi più instabile che mai. Se questo non succederà, è inutile chiedere a Paesi che hanno problemi di fare sforzi per recuperare la competitività, se poi questo recupero viene annullato dall’aumento del valore dell’euro.
Anche su questo non si può non essere completamente d’accordo con Hollande. La guerra dei cambi che si sta scatenando rende sempre più urgente la necessità di un nuovo accordo multilaterale come quello siglato a Bretton Woods nel 1944. Solo l’Europa può prendere l’iniziativa per indire un nuovo Forum nella cui agenda ci siano 2 temi ben precisi:
1) squilibri nella parte corrente della bilancia dei pagamenti e creazione di una moneta mondiale;
2) vincoli da imporre ai mercati finanziari internazionali.
Il secondo mandato di Obama è un’occasione irripetibile per portare avanti questo progetto. Non possiamo però pretendere che sia Obama stesso a prendere l’iniziativa perché quella americana è l’economia al momento meno globalizzata e quella che trae i maggiori benefici dalla situazione esistente.
Giovedì scorso Mario Draghi ha usato una sola frase, che però sembra efficace, per cercare di scoraggiare quello che il ministro delle Finanze del Brasile, Guido Montega, ha definito «guerra valutaria». «Certo vorremmo verificare se l’apprezzamento dell’euro, qualora continui, altererà la nostra valutazione riguardo alla stabilità dei prezzi». Probabilmente quello che Draghi voleva dire è che un continuo apprezzamento dell’euro potrebbe causare una diminuzione notevole nei prezzi delle materie importate, soprattutto petrolio e gas, portando l’inflazione media europea al di sotto del 2%. In questo caso, la BCE potrebbe intervenire per fermare il rialzo dell’euro. Dopo il suo discorso di Londra nel luglio del 2012, l’euro, considerato il grande malato del mondo, si è apprezzato del 14% sul dollaro e del 34% sullo yen.
Insomma, tornando al discorso di Hollande, è venuto il momento di lanciare un grande cantiere per l’approfondimento e l’avanzamento dell’Unione Economica e Monetaria. La Francia, dice il suo presidente, è pronta. Questo ulteriore processo deve basarsi su due principi: maggiore integrazione nel campo delle politiche economiche, ma anche maggiore solidarietà. L’integrazione dovrà poggiare naturalmente non solo sull’armonizzazione delle politiche fiscali, ma soprattutto sul disegnare politiche comuni nel campo delle infrastrutture, della ricerca e delle nuove tecnologie.
Non si può accettare che l’Europa diventi un’area economica a due velocità. Un’Europa delle diseguaglianze, non solo all’interno dei singoli Paesi, ma anche tra un Paese e l’altro. Un’Europa à la carte.
Ma al di là del budget, al di là della moneta unica, al di là del single market, l’Europa non può diventare un insieme di paesi, ognuno dei quali interessato solo al proprio vantaggio nazionale. L’Europa deve diventare innanzitutto una volontà politica, ed è perciò necessario lavorare per costruire una nuova architettura dell’Unione. L’Europa deve accettare che alcuni paesi (potrebbero anche non essere sempre gli stessi) si impegnino in nuovi progetti di armonizzazione delle loro politiche, al di là della base comune di regole già esistenti.
Le elezioni europee dell’anno prossimo debbono diventare l’occasione per un grande dibattito sull’avvenire dell’Europa. Bisogna che nelle liste elettorali siano presenti i leader che si vogliono candidare a condurre l’Europa nei prossimi anni e che gli elettori europei abbiano ben chiaro quali sono le proposte sia riguardo alle politiche che vogliono seguire, sia riguardo al progetto di nuova architettura dell’Unione che hanno in mente. I candidati debbono essere in grado di presentare una grande narrativa sul futuro dell’Europa, solo così potremo avere istituzioni che le permettano di pesare nelle decisioni sul destino del mondo, con leader legittimati democraticamente.
Hollande si è pronunciato anche sui valori dell’Europa, sul perché dobbiamo avere l’ambizione di dire la nostra al resto del mondo. «L’Europa non può essere solo una somma di nazioni, ognuna delle quali va a cercare nell’Unione solo ciò che è utile per sé e solo per sé. L’Europa, perché è la sua storia, perché è il suo destino, è soprattutto una volontà politica».
Ancora più importante, conclude Hollande, è che non possiamo dimenticare che l’Europa è innanzitutto una dimensione culturale. «È l’Europa della connaissance, l’Europa delle università, della ricerca e della cultura. Noi europei ci portiamo dietro una cultura che va ben al di là di noi stessi. Non dobbiamo considerare la nostra eredità come un patrimonio da proteggere ma come un movimento da promuovere. È l’idea dell’eccezionalità culturale, l’idea che le opere dello spirito non sono merci come tutte le altre». Dobbiamo mettere la tecnologia al servizio della difesa dei nostri artisti, della loro creatività, alla difesa di un progetto di civiltà, non solo al servizio di azionisti ultrabillionaire.
Elido Fazi