Il ciclo di storia italiana in inglese che l’Istituto di cultura di Bruxelles terrà nelle prossime settimane a Bruxelles conferma una politica culturale che sorprende e preoccupa. L’istituto diretto da Federiga Bindi ha chiaramente adottato l’inglese come lingua di divulgazione della cultura italiana e di comunicazione con il suo pubblico belga. L’incongruenza è palese e basta il solo buon senso per accorgersene: immaginate il Goethe Institut di Roma che tiene un corso di cultura tedesca in inglese. Ma a questo punto la linea adottata da Federiga Bindi rivela un’assoluta mancanza di visione e di considerazione per la situazione linguistica del paese in cui vive e anche un’inquietante ignoranza della politica dell’Unione europea per il multilinguismo, sancita dal Consiglio europeo di Barcellona de 2002 e due comunicazioni della Commissione del 2004 e del 2008.
Federiga Bindi forse crede di operare in una realtà dove l’inglese è lingua corrente, immagina di avere fra i fruitori della sua offerta culturale essenzialmente funzionari delle istituzioni europee e li presume normalmente anglofoni. Già questo presupposto è sbagliato, perché i funzionari europei non sono necessariamente anglofoni e comunque vivendo in un ambiente per maggioranza francofono, parlano correntemente francese. Ma poi i funzionari europei sono solo un’infima proporzione della popolazione brussellese che parla invece francese e neerlandese. L’equilibrio linguistico brussellese è il risultato della storica controversia linguistica che divide il Belgio ma che a Bruxelles si è tutto sommato felicemente ricomposta in un diffuso bilinguismo e in un’accurata tutela delle due lingue. Quando dunque Federiga Bindi propone iniziative culturali in inglese ai belgi dimostra l’assoluta ignoranza di una questione essenziale per il Belgio. Per un membro della diplomazia italiana questo è se non altro sorprendente.
La politica europea per il multilinguismo, definita dai documenti citati, si è consolidata sotto il mandato del Commissario europeo per il multilinguismo Leonard Orban fra il 2007 e il 2010. In quel triennio è stato portato avanti l’obiettivo sancito dal Consiglio europeo di Barcellona del 2002 mirante all’insegnamento di almeno due lingue straniere a tutti cittadini europei fin dall’infanzia. Un gruppo di esperti riunito per studiare i dettagli della strategia e presieduto dallo scrittore Amin Maalouf produsse un documento intitolato “Una sfida salutare” in cui si definiva che il multilinguismo europeo doveva basarsi sulla diffusione di lingue di comunicazione internazionale, di lingue di vicinato, di lingue nazionali o regionali, seguendo il principio della lingua più utile ai fini dell’integrazione europea. Gli approfondimenti che fecero seguito a questo documento hanno rafforzato l’importanza della valorizzazione della varietà linguistica europea, sottolineando come la condivisione delle lingue sia l’unico modo efficace per superare le barriere linguistiche.
In questo articolato contesto non si è ignorata la questione dell’inglese e si è pienamente riconosciuto il ruolo che esso può svolgere come grande lingua di comunicazione internazionale. Ma se ne sono anche riconosciuti i limiti. Una lingua di comunicazione internazionale non può soddisfare ogni esigenza linguistica. Ci sono contesti e luoghi dove poter parlare la propria lingua deve essere un diritto, perché qui è in ballo la libertà di espressione, le pari opportunità e l’eguaglianza fra i cittadini. Basti pensare alle recenti sentenze della Corte di giustizia europea che ha sanzionato l’EPSO per non aver rispettato i principi di uguaglianza linguistica nei concorsi UE. La lingua madre ha inoltre un’importanza fondamentale nella costruzione personale e identitaria di un individuo e questo ha ripercussioni sull’equilibrio di tutta una società e sulla sua capacità di produrre idee e di rinnovarsi. A questo proposito si rifletta sull’arretratezza dei tanti paesi africani, dirottati per secoli in lingue a loro aliene e delle generazioni di loro cittadini resi mutilati linguistici incapaci di sviluppare pensiero e complessità nella loro madrelingua.
Il discorso è lungo e meriterebbe una più profonda trattazione, ma per concludere si può dire che l’apertura delle frontiere e la diffusione di zone miste dove le lingue si mescolano, assieme al recupero di dimensioni regionali un tempo soffocate dai vecchi stati nazionali, ha suscitato in Europa una nuova sensibilità nei confronti delle lingue che la politica per il multilinguismo dell’UE cerca di sostenere. Si sta ormai diffondendo una sorta di senso civico linguistico che spinge i cittadini europei più esposti al multilinguismo a imparare nuove lingue, a rispettare e ad apprezzare la varietà linguistica e a sforzarsi di usare la lingua più opportuna per ogni contesto.
In questo quadro vediamo come arretrata e quasi coloniale la scelta della Direttrice Federiga Bindi di adottare l’inglese come lingua di diffusione della cultura italiana a Bruxelles. Una mancanza di rispetto per il suo paese ospite e un suicidio culturale per l’Italia. È assolutamente vero che una cultura si promuove anche a prescindere dalla lingua e che la nostra stessa lingua è fatta di grandi varietà. L’italiano non è uno ma la sintesi di ricche tradizioni regionali, spesso letterarie. Ma proprio per questo, per la nostra antica tradizione multilingue, noi dovremmo essere i più sensibili alla varietà linguistica e accettare la diversità nelle sedi della nostra cultura, accompagnata però anche dalla solida offerta dell’italiano che in fin dei conti è quello che vogliamo far conoscere agli stranieri. La nostra tradizione culturale ha sempre coltivato la pluralità linguistica e concepito ogni lingua come solo una delle tante manifestazioni del fenomeno linguistico. Scriveva Dante “Opera naturale e ch’uom favella / Così o così natura lascia poi fare a voi, secondo che v’abbella”.
C’è poi un ultimo aspetto della questione che non è trascurabile. Federiga Bindi afferma che terrà il suo ciclo di lezioni in inglese. Ma è veramente inglese quello che parla la Bindi? Lo abbiamo chiesto a una professoressa di madrelingua inglese, chiedendole di rivedere e correggere il testo di presentazione del ciclo di lezioni pubblicato sul sito dell’Istituto italiano di cultura. Ecco dapprima il testo dell’Istituto e poi in corsivo la versione in inglese corretto.
“Confused about the functioning of the Bel Paese? Want to understand more about the Italian elections? Join us for a seminar lunch, enriched by Italian refreshments, thought by the IIC Director Prof. Federiga Bindi that will introduce you to Italian Institutions and to explain how they changed along the years.
The seminars will begin with an historic introduction. Following an introductory survey of Italian politics from the unification of Italy in 1870 through to the Fascist era, this course will focus upon the political institutions established in Italy following the Second World War and on the main protagonists in party politics since that time. We will first focus on the so-called I Repubblica, dominated by the Christian Democrat party, that eventually came to an end with the institutional revolution brought by the “clean hands” campaign. The 20 years that followed have been dominated by the rivalry and the alternance between Berlusconi and the center-left parties, an alternance that itself saw a halt in December 2011 with the arrival of Mario Monti to the premiership. As elections will take place in February 2013, we will discover together what the future of Italy will be.”
“Confused about the functioning of the Bel Paese? Want to understand more about the Italian elections? Join us for a seminar lunch of delicious Italian refreshments and hear Prof. Federiga Bindi, the IIC Director introduce you to Italian Institutions and how they have changed down the years.
The seminars follow an introductory survey of Italian politics from the unification of Italy in 1870 through to the Fascist era. They will focus on the political institutions established in Italy following the Second World War and on the main protagonists in party politics from that time. Firstly, will be the so-called Prima Repubblica, dominated by the Christian Democrat party which eventually ended with the institutional revolution brought about by the “clean hands” campaign. Then the 20 years that followed which were dominated by the rivalry and alternance between Berlusconi and the center-left parties, which saw a halt in December 2011 with the arrival of Mario Monti to the premiership.
As elections will take place in February 2013, the seminars are excellent preparation to discuss Italy’s political future.”
All’apparenza le differenze non sono profonde, ci sembrano leggere, non veri errori, solo diverse formulazioni e strutture. Ma qui sta tutto il succo di una lingua. Parlare una lingua straniera non è trasporre parole da un dizionario all’altro, bensì rielaborare contesti, essere consapevoli delle differenze semantiche, organizzare il pensiero e l’enunciato nel rispetto delle diverse strutture di quella lingua, padroneggiando fra l’altro quei meccanismi invisibili ma fondamentali che sono le collocazioni. Le collocazioni sono forme fisse di una lingua che non seguono percorsi logici ma che ne esprimono la sua natura più profonda. Quando parliamo di “frantumare un record” o di “vittoria schiacciante” quando diciamo “in quattro e quattr’otto”, usiamo le collocazioni e ogni lingua ha le sue, mai direttamente traducibili perché frutto di diversi percorsi culturali. Così in inglese si dice “out of the blue” quel che noi chiamiamo “un fulmine a ciel sereno” e si dice “red herring” quel che noi chiameremmo “falsa pista”.
Per queste ragioni non è inglese un seminario “enriched by Italian refreshments” ma solo maldestra trasposizione di parole italiane in un inglese che per un anglofono è incomprensibile e suona sgrammaticata. Alla stessa stregua, “A seminar lunch thought by Prof. Bindi” non è inglese ma italiano travestito, perché in inglese il verbo “to think” ha un uso diverso rispetto all’italiano. Anche se significa allo stesso modo “pensare”, risponde a un quadro logico diverso e solo in esso è comprensibile. In inglese non si dice “how they have changed along the years” ma “how they have changed down the years”. E così via: la lista è lunga per un testo di sole 18 righe. Abusare di una lingua in questo modo non è solo un errore linguistico ma è soprattutto un completo fallimento comunicativo. Rinunciando all’italiano, l’Istituto di cultura afferma innanzitutto di considerare la nostra lingua inadeguata ad esprimere la nostra cultura. Ma a questa aberrazione aggiunge un messaggio doppiamente perdente adottando un inglese storpiato, scorretto, rivelatore di un’ignoranza della lingua inglese che in fin dei conti viene percepita come dispregio dell’inglese e mancanza di rispetto per chi lo parla, lingua ridotta al rudimentale “augh” dei pellerossa dei film western, a scarno alfabeto Morse e che alla fine induce a credere che anche i contenuti del ciclo di lezioni saranno ugualmente poveri. Del resto come potrà Federiga Bindi esporre tutta la complessità della storia italiana, tutte le articolate sfumature, contraddizioni e contorsioni della nostra politica se è questo l’inglese che parla?
“Me Tarzan, you Jane” dice in perfetto inglese Federiga Bindi battendosi il petto dal suo ramo. Non ha capito che qui non siamo nella giungla ma nella capitale d’Europa dove le lingue sono espressioni politiche, strumenti di influenza, terreni d’incontro e di scontro, mezzi di comunicazione ma anche di protezione, segni di riconoscimento tribale che possono essere usati per cortesia o sfida, per avvicinarsi o respingersi, finestre aperte su mondi diversi, materia in continua evoluzione nel laboratorio dove si distilla il sofisticato pensiero che nutre l’idea di un’Europa unita.
Diego Marani