Dopo otto anni l’olandese Dijsselbloem prende il posto di Juncker
È un esperto di agronomia, fa il ministro solo da due mesi, ma è gradito alla Germania
Questa volta è chiaro, non ci sono rischi di interpretazioni sbagliate: un raccomandato, il ministro delle Finanze olandese Jeroen Dijsselbloem, è stato eletto presidente dell’Eurogruppo. Lui tenta, appena nominato, di scrollarsi un po’ di dosso la fama di falco, di duro dei conti e spiega ai giornalisti che “non c’è conflitto fra avere i conti in ordine e lavorare su una solidarietà sociale”. Una frase che in realtà può esser letta come si vuole. Lui ricorda anche di essere “un socialdemocratico” e quindi sembra spingere per l’interpretazione meno rigorista. Ma il fatto è che oramai è stato eletto, Berlino ha raggiunto il suo risultato, ed ora si cerca di far digerire la questione a chi, come gli italiani, avevano storto il naso.
Fino all’inizio di novembre scorso questo economista agrario non era mai stato ministro, la sua esperienza è dunque appena appena all’inizio e già si trova a guidare il club più esclusivo dei ministri europei. Una bella carriera, anche se non c’è assolutamente nulla che dica che è in grado di svolgere il lavoro che ha avuto, neanche qualche buon precedente nel settore. E’ un bell’uomo, relativamente giovane, ha 46 anni, quattro in meno di quelli che aveva Jean-Claude Juncker quando otto anni fa fu eletto in quella posizione, ed ama allevare maiali nella sua casa di campagna. Sorride molto, ma dentro è severissimo, un po’ all’antica, tanto che, pur non essendolo, viene chiamato “il calvinista” dai suoi colleghi di partito. Cosa sa fare ancora va scoperto, certo è stato bravo a far tessere attorno a se una rete di sostegno lanciata per prima dalla Germania (che non ha ritenuto opportuno candidare il suo ministro delle Finanze), “ma non sarebbe successo se fosse stato un paese solo”, dice lui. Sarà, dicono i maligni, un presidente eterodiretto (forse più di altri qui a Bruxelles…), vista la sua scarsa esperienza e la storia delle sua scelta, ma questa è l’Europa che abbiamo ora.