Il presidente dell’Eurogruppo al Parlamento Ue cita Karl Marx e afferma:
“Il 2012 anno di risultati positivi, ma ci vuole una maggiore dimensione sociale”
L’Eurozona è salva e più stabile, la Grecia è costretta a grandi sacrifici ma non è fallita, il processo di creazione dell’unione bancaria è stato avviato. I paesi dell’Ue e dell’area euro possono tirare un sospiro di sollievo: non c’è stata nessuna crisi dell’Euro né ci sarà. Jean-Claude Juncker fa il punto della situazione al Parlamento europeo, nel corso della sua ultima audizione in commissione Problemi economici da presidente dell’Eurogruppo. Il 21 gennaio lascerà il posto che occupa dal 2005. “Abbiamo preso decisioni lungimiranti e stabilizzato la zona euro”, tiene a sottolineare Juncker. “Il 2012 è stato un anno di risultati positivi”, e di conseguenza “iniziamo il 2013 in una situazione nettamente migliore rispetto all’anno scorso”. Questi dati non devono comunque far abbassare la guardia: “I tempi restano difficili, e non dobbiamo dare l’impressione che il peggio sia passato”.
Occorre dunque proseguire nel processo di integrazione europea, a cominciare dall’unione bancaria. Il meccanismo unico di supervisione ha segnato l’avvio di un percorso, ma “non si può pensare di avere una sorveglianza bancaria senza riflettere su un meccanismo di garanzia per i depositi e un fondi di risoluzione”. Dare corpo a progetti e strategie ed evitare che si abbiamo azioni isolate ed estemporanee, dunque. E poi, vanno attuate riforme credibili del mercato del lavoro che permettano il recupero di forza lavoro. “Credo che stiamo sottovalutando il problema della disoccupazione, che ci schiaccia”. La situazione, denuncia Juncker, “è drammatica: avevamo detto che l’euro avrebbe riequilibrato la società e invece la mancanza di lavoro aumenta”. Ancora, l’Europa deve imparare ad essere più forte sul fronte industriale. “Occorre dare vita a una politica industriale dell’Unione europea, che non abbiamo”. L’Ue, lamenta il presidente dell’Eurogruppo, “nel momento in cui ripartirà l’economia si troverà a dover importare acciaio”. Un paradosso, se si pensa che l’attuale Unione europea prima ancora di essere Comunità economica europea (Cee) fu Comunità del carbone e dell’acciaio (Ceca).
Nel compito non semplice di stabilizzare ancora di più l’Europa e la sua moneta, il completamento dell’unione economica e monetaria deve comprendere “la dimensione sociale”, quella che a detta di Juncker è oggi “l’elemento carente”. Si rende necessario garantire un pacchetto “pan-europeo” di “diritti sociali per i lavoratori”, e rispondere alle “rivendicazioni essenziali di salario minimo legale in tutta l’area dell’eurozona”. Altrimenti, avverte Juncker, “rischiamo di perdere la nostra credibilità e, per dirla alla Marx, il sostegno della classe operaia”. Un messaggio non nuovo quello di Juncker, il primo a dire, fin da subito, che questa crisi rischia di rimettere in discussione il sistema di coesione sociale europeo. Una cosa da evitare. “Non bisogna credere che sarebbe giusto avere politiche di austerità che chiedono i più grandi sforzi ai più deboli”. Le conseguenze della crisi, scandisce, “deve ricadere sui più forti: questa è solidarietà sociale”. Juncker lascia così, con questo programma per i Paesi membri e, soprattutto per chi dovrà avere il compito di assumere la guida dell’Eurogruppo e traghettare l’Europa fuori dalla crisi. Quel qualcuno sembra essere sempre più l’attuale ministro delle finanze olandese, Jeroen Dijsselbloem. “Parlerò al mio successore in una lingua del Benelux su quello che penso si dovrebbe fare”, dice Juncker. Nomi non ne fa, ma aggiunge che la persona con cui parlerà sarà “più un lui che una lei”.
Renato Giannetti