Proviamo a spiegare, in chiave più europea possibile, come il Belpaese si prepara alle elezioni. Oggi la prima puntata.
Gli schieramenti elettorali sono ormai definiti. Dopo l’accordo nella notte di domenica si è anche ricostruito l’accordo tra Pdl e Lega. Dunque lo scenario è questo: Centrosinitra (Coalizione del Pd con Sel, una forza di sinistra che aggrega alcuni verdi, ex di Rifondazione comunista e altre piccole formazioni), Centro (Movimento di Mario Monti, Udc di Pier Ferdinando Casini, Fli di Gianfranco Fini e qualche altra piccola lista), Centrodestra (Pdl e Lega), Movimento 5 stelle (Beppe Grillo), altre forze residuali.
I sondaggi confermano al momento il netto vantaggio del centrosinistra guidato abbastanza saldamente da Pierluigi Bersani. Lo schieramento appare meno traballante che quelli dell’Ulivo guidato da Romano Prodi, che cadde anche a causa di una scarsa base parlamentare e di un forte antagonismo anche di singoli parlamentari pur eletti nella coalizione, e il Pd potrebbe, addirittura, arrivare da solo ad aver un numero sufficiente di parlamentari per governare senza dover mediare con la sinistra.
A pari livello, attorno al 15% ciascuno ci sono il Centro, il Centrodestra, e Grillo. La situazione qui è molto fluida si tratta di tre forze per vari versi “nuove” alle elezioni: Grillo è la prima volta che affronta una sfida nazionale e il risultato potrebbe essere molto al di sotto delle attese di qualche settimana fa. Il Centro è costituito da vecchi comprimari della politica, abituati a navigare con ogni mare, come Pier Ferdinando Casini e Gianfranco Fini, ma sempre su barchette piuttosto deboli, e dal nuovo movimento della Lista Monti, un raggruppamento di candidati e di interessi la cui forza elettorale è tutta da misurare. La destra di Silvio Berlusconi non ha nulla a che vedere con quella di cinque anni fa; si tratta di una forza allo sbando, che non è neanche riuscita ad esprimere con chiarezza un candidato premier, Attualmente si spiega che il nome del capo della coalizione sarà quello di Berlusconi, perché la legge impone che ce ne sia uno, ma poi l’ex premier stesso dice che non sarà lui a guidare il governo in caso di vittoria e indica Angelino Alfano, mentre la Lega indica Giulio Tremonti. Ma il problema non si porrà, perché nonostante la nota capacità di Berlusconi di stupire e rimontare una sua vittoria appare davvero improbabile.
Lo scontro sarà forte dunque tra il Centro e il Centrodestra, coalizioni in competizione tra loro e per rubacchiare qualche voto a Grillo. Monti otterrà qualche voto marginale da ex elettori del centrosinistra (alcuni parlamentari di secondo piano del Pd hanno già scelto di correre con lui), ma il suo bacino elettorale è tutto nel terreno di Berlusconi.
Il vero rischio di instabilità è però generato da Mario Monti. La scelta di presentare la sua coalizione con un insieme di liste distinte alla Camera ed un listone unico al Senato è dettata dalla certezza di non poter vincere tra i deputati ma, grazie alla terribile legge elettorale italiana (che i partiti non hanno voluto cambiare nell’ultimo anno), di poter sperare di diventare, pur perdendo e con numeri scarsi, un elemento di disturbo, se non decisivo, per formare la maggioranza tra i senatori, fosse anche per due o tre voti. In Senato infatti il premio di maggioranza, che alla Camera è nazionale, è invece concesso su base regionale e dunque in qualche regione potrebbe non andare al Pd ma al Pdl (su Monti vincente in qualche regione ora non scommette nessuno). Questo è l’obiettivo dichiarato con questa scelta. Il centro gioca quindi sulla possibilità di essere, pur perdente e minoritario, l’ago della bilancia. L’elemento di instabilità aumenta per il fatto che Monti rifiuta di partecipare ad un governo se non da premier, come ha detto recentemente in una intervista televisiva, rifiutando un eventuale posto di ministro dell’Economia in un governo di coalizione con il Centrosinistra, chiudendo di fatto ad ogni negoziato prima ancora del voto. Dunque l’uomo che “ha salvato l’Italia” potrebbe diventare quello che la affonda nuovamente se scegliesse di impedire la formazione di un governo solido.
L.R.