Nessuno si azzarda a chiamare con il proprio nome l’ultimo sciopero della fame e della sete di Marco Pannella: ricatto bambinesco di un ego smisurato. La nobiltà della causa che Pannella prende in ostaggio per placare la sua crisi di astinenza da visibilità impedisce anche i più lucidi di liquidare l’ultima impresa del vecchio radicale per quella che è: una sceneggiata. Primo e ultimo del partito che ha dato all’Italia Capezzone, all’apice della sua carriera di molestatore della quiete costituzionale, Pannella riusciva a catturare l’attenzione degli italiani con le sue gesta spregiudicate, come la candidatura di Cicciolina al Parlamento.
Le fortunate campagne per le leggi sul divorzio e sull’aborto, più qualche memorabile referendum che sfondava porte aperte, gli valsero un giusto merito. Ma dopo fu molto fumo e poco arrosto. Pannella non è mai riuscito a procurare al suo movimento un vero seguito politico nella società italiana. Il Partito radicale è sempre stato una specie di clan di Celentano della politica, dedito a un imbarazzante culto della personalità. Ora il guitto adepto della Satyagraha è messo in ombra da ben altri buffoni e marpioni che monopolizzano la scena politica con impareggiabile furor comico.
Così in un ultimo colpo di coda, il politico che si rivendica erede ideale di Bettino Craxi ha avuto la squallida idea di avventurarsi in questo ennesimo sciopero della fame e della sete per obbligare moralmente grandi personalità politiche a presentarsi alle elezioni nella sua lista per le allodole “Amnistia – Giustizia – Libertà” e così liberare l’Italia dall’ingiustizia, dall’affollamento delle carceri e dal male in generale. E’ ormai troppo tardi per strappare Pannella agli esibizionismi che hanno segnato tutta la sua vita. Ma siamo ancora in tempo a ignorarlo. Forse è quello di cui ha più bisogno. Lasciamo che si spenga serenamente, di fame o di sete e che il suo ego lo lasci infine libero.
Diego Marani