La Corte europea annulla i calendari 2012 e 2013 che limitavano le sedute in Alsazia
Francia e Lussemburgo, uniche, difendono una transumanza da 300 milioni l’anno
Niente da fare, della sede del Parlamento europeo a Strasburgo non ci si libera, neanche per una settimana l’anno. Tremila persone sono costrette dai governi e dai politici francesi a trasferirsi ogni mese dell’anno da Bruxelles, dove lavora normalmente il Parlamento, nella gelida città alsaziana per svolgere un ridicolo e costoso rito per appagare una pretesa che non ha più senso democratico. Lo scorso anno si tentò di alleggerire un po’ la cosa, perché buttare al vento 300 milioni l’anno e produrre milioni di tonnellate di CO2 sembra proprio ai più una cosa cretina e inutile (tranne per i francesi, che li incassano quasi tutti). Ma niente, la Francia (spalleggiata dal Lussemburgo dove ha sede un terzo braccio di questo carcere) è ricorsa alla Corte di Giustizia dell’Ue che, sentenziando in base ai Trattati capestro firmati oramai troppi anni fa (nel 1992, e sono modificabili solo all’unanimità), non ha potuto che dire che la norma impone dodici sedute annue, e dunque il calendario 2012 (oramai…) e quello 2013 che riducevano l’assurda transumanza sono stati cancellati. Ecco di seguito la sentenza integrale. Se si sentenziasse anche sui prezzi da strozzini praticati dagli hotel durante le sessioni non sarebbe male.
Ezio Baldari
La Corte annulla le deliberazioni del Parlamento europeo relative al calendario delle sessioni 2012 e 2013
Le sessioni plenarie di ottobre 2012 e ottobre 2013, scisse in due dal Parlamento, non possono essere considerate quali singole sessioni plenarie mensili
I Trattati impongono al Parlamento europeo, la cui sede è fissata a Strasburgo, di riunirsi in dodici sessioni plenarie mensili all’anno, ivi compresa la sessione di bilancio, senza peraltro precisarne la durata. Tradizionalmente, nel mese di ottobre vengono svolte a Strasburgo due sessioni plenarie per compensare l’assenza di plenaria nel mese di agosto. Secondo la prassi parlamentare, le plenarie ordinarie, della durata di quattro giorni, si svolgono a Strasburgo, mentre le sessioni aggiuntive si tengono a Bruxelles.
A seguito di due emendamenti, proposti dal deputato europeo sig. Fox, il PE ha modificato, con due deliberazioni adottate il 9 marzo 2011, il calendario delle sessioni per il 2012 ed il 2013. Da un lato, veniva soppressa una delle due plenarie di quattro giorni, previste a Strasburgo per i mesi di ottobre del 2012 e 2013. Dall’altro, venivano scisse in due le restanti sessioni plenarie di ottobre 2012 e ottobre 2013: pertanto, due sessioni plenarie distinte, di due giorni ciascuna, venivano fissate a Strasburgo nella settimana dal 22 al 25 ottobre 2012, e due per la settimana dal 21 al 24 ottobre 2013.
La Francia ha chiesto alla Corte di giustizia l’annullamento delle due deliberazioni del PE. Sostenuta dal Lussemburgo, essa deduce che esse violano i Trattati e la giurisprudenza della Corte. Essa contesta al PE, in particolare, di aver spezzato la regolare cadenza delle plenarie, fissando sessioni aggiuntive a Bruxelles e solo undici plenarie a Strasburgo.
Con la sentenza odierna, la Corte annulla le deliberazioni del PE del 9 marzo 2011.
La Corta ricorda la propria giurisprudenza in merito all’interpretazione della decisione di Edimburgo, ripresa in termini identici dai protocolli sulle sedi delle istituzioni1. Con una sentenza del 1997, la Corte ha precisato l’articolazione dei rapporti tra la competenza degli Stati membri ai fini della fissazione della sede del PE (a Strasburgo) e la competenza del PE circa la propria organizzazione interna. In tal senso, la Corte ha rilevato che gli Stati membri hanno inteso affermare che la sede del PE, fissata a Strasburgo, costituisce il luogo ove devono essere svolte, con cadenza regolare, dodici sessioni plenarie ordinarie, ivi comprese quelle in cui il PE esercita i poteri di bilancio ad esso conferiti dal Trattato. Parimenti, la Corte ha dichiarato che sessioni plenarie aggiuntive possono essere fissate in un altro luogo di lavoro solamente qualora il PE tenga le dodici plenarie ordinarie a Strasburgo. Stabilendo in tal modo la sede del PE a Strasburgo, gli Stati membri non hanno pregiudicato il potere d’organizzazione interna dell’istituzione.
È pacifico che con le deliberazioni del marzo 2011 il PE si è discostato dai progetti della conferenza dei presidenti per quanto attiene alle sessioni plenarie mensili previste per i mesi di ottobre del 2012 e di ottobre del 2013. Da tali deliberazioni emerge che le sessioni plenarie mensili, di quattro giorni ciascuna, previste per ottobre 2012 e 2013 sono state sostituite da due plenarie di due giorni ciascuna. Si deve dichiarare che le sessioni così stabilite da tali deliberazioni per i mesi di ottobre 2012 e ottobre 2013 non rispondono alle esigenze fissate dai Trattati sulle sedi delle istituzioni.
La Corte rileva, in primo luogo, che, alla luce della genesi delle deliberazioni impugnate, del tenore degli emendamenti alla loro origine, nonché della prassi del PE quale risultante dall’ordine del giorno delle plenarie di ottobre 2012, le deliberazioni impugnate implicano obiettivamente una rilevante riduzione del tempo che il PE può dedicare ai dibattiti e alle deliberazioni nei mesi di ottobre 2012 e ottobre 2013. Infatti, rispetto alle sessioni plenarie ordinarie, il tempo effettivo disponibile per le sessioni previste per tali mesi è ridotto di oltre la metà.
La Corte precisa, in secondo luogo, che, affinché possano essere fissate sessioni plenarie aggiuntive, devono aver effettivamente luogo a Strasburgo, con cadenza regolare, dodici plenarie ordinarie. Una plenaria, per poter rientrare nella categoria delle «tornate plenarie ordinarie», dev’essere equivalente alle altre sessioni mensili ordinarie, fissate ai sensi dei Trattati, segnatamente in termini di durata. La Corte rileva che le sessioni di ottobre 2012 e ottobre 2013 fissate nelle deliberazioni contestate non sono equivalenti, rispetto alla loro durata, alle altre sessioni mensili ordinarie fissate dalle deliberazioni stesse.
La Corte rileva, in terzo luogo, che il PE non ha dedotto alcuna ragione, relativa all’esercizio del proprio potere di organizzazione interna, che consenta di giustificare, malgrado il costante aumento delle proprie competenze, la significativa riduzione della durata delle due sessioni plenarie di ottobre 2012 e 2013. A tal riguardo, la Corte ritiene, in particolare, che il rilievo secondo cui la sessione di bilancio potrebbe essere ormai chiusa, in pratica, in poco tempo, non possa giustificare, alla luce dell’importanza che la sessione di bilancio riveste, la riduzione della durata di una sessione plenaria. La Corte sottolinea che l’esercizio da parte del PE delle proprie competenze in materia di bilancio in sessione plenaria costituisce un momento fondamentale della vita democratica dell’Unione europea e deve essere quindi compiuto con tutta l’attenzione, con il rigore e l’impegno che esige una responsabilità di tal genere. L’esercizio di tale competenza necessita, segnatamente, di un dibattito pubblico, in sessione plenaria, che consenta ai cittadini dell’Unione di prendere conoscenza dei diversi orientamenti politici espressi e, conseguentemente, di formarsi un’opinione politica sull’azione dell’Unione.
La Corte osserva, infine, che, ancorché gli inconvenienti ed i costi generati dalla pluralità dei luoghi di lavoro, quali evocati dal PE, siano reali, non spetta né al PE né alla Corte porvi rimedio, bensì, eventualmente, agli Stati membri nell’esercizio della propria competenza a fissare la sede delle istituzioni.
Pertanto, le deliberazioni del 9 marzo 2011 sono annullate nella parte in cui non fissano dodici sessioni plenarie mensili a Strasburgo per il 2012 e 2013.
Nel 1992, in occasione del vertice di Edimburgo, i governi degli Stati membri hanno adottato la «decisione di Edimburgo», relativa alla fissazione delle sedi delle istituzioni e di taluni organismi e servizi delle Comunità europee. In occasione della conferenza intergovernativa che ha condotto all’adozione del Trattato di Amsterdam, è stato deciso di allegare la decisione di Edimburgo ai Trattati. Attualmente, si tratta del protocollo n. 6 allegato al TUE e al TFUE nonché del protocollo n. 3 allegato al CEEA, che riprendono il testo della decisione di Edimburgo (articolo 1, lettera a).