La cerimonia di consegna del Premio a Oslo con i tre Presidenti delle istituzioni Ue
In sala quasi tutti i leader europei, si nota l’assenza del britannico David Cameron
Con una cerimonia solenne e organizzata nei minimi particolari è stato consegnato all’Unione europea il premio Nobel per la Pace. A ritirarlo i tre presidenti delle principali istituzioni Ue, Parlamento, Commissione e Consiglio, Martin Schulz, Josè Manuel Barroso ed Herman Van Rompuy. E proprio come aveva proposto quest’ultimo, sono stati presenti con loro, nelle prime file della sala riservate al pubblico, quasi tutti i capi di Stato e di governo dei 27 Paesi dell’Unione. Quasi, appunto, perché tra le assenze quella che si nota di più è stata certamente quella del premier britannico, David Cameron.
Mario Monti, presidente del Consiglio italiano, era seduto a fianco del belga Elio Di Rupo e proprio dietro la cancelliera Angela Merkel e il francese François Hollande. Verso di loro il nostro premier, sempre sorridente, spesso si è sporto per scambiare qualche battuta. Dietro di lui invece l’altro Mario nazionale, il Presidente della Banca centrale europea Draghi, serio, silenzioso.
La cerimonia si è aperta con il discorso del presidente del Comitato norvegese del Premio Nobel, Thorbjørn Jagland, che ha voluto ricordare come la pace in Europa sia qualcosa che “non deve essere dato per scontato, ma qualcosa per cui dobbiamo lottare ogni giorno”. Jagland ha sottolineato come la motivazione del premio sia stata il fatto che in seguito alla Seconda guerra mondiale “l’Ue è stata la forza motrice principale nel processo di riconciliazione tra paesi”, e la riconciliazione più significativa è stata quella tra Germania e Francia, per questo il presidente del Nobel ha spiegato, tra gli applausi scroscianti della sala che “la presenza di Angela Merkel e François Hollande rende questo giorno molto particolare e importante per noi”. I due, che erano seduti di fianco in prima fila, si sono alzati in piedi stringendosi le mani e sollevandole in alto, proprio come se fossero stati solo loro i premiati.
Alla fine del suo intervento c’è stata la consegna del Nobel vera e propria. I tre presidenti hanno posato per la foto di rito, Barroso e Van Rompuy mostrando il diploma e Schulz la medaglia. È toccato però solo ai primi due l’onore di salire sul podio per i ringraziamenti. Ha iniziato Van Rompuy con un discorso ideale e ricco di citazioni storiche e autobiografiche, nel quale ha ricordato che “tutto nacque a Roma, caput Mundi”, forse per rimediare alla gaffe del filmato celebrativo che in una prima versione non citava l’Italia. I passaggi più significativi della sua lectio li twittava in tempo reale il suo staff utilizzando il suo profilo. Il fiammingo ha usato un aneddoto storico per spiegare il suo concetto di pace e riconciliazione: “Nel 1951 Konrad Adenauer era a Parigi per siglare il trattato sulla Comunità del carbone e dell’acciaio. Una sera in albergo ricevette un regalo. Era una medaglia di guerra, una Croix de Guerre appartenuta a un soldato francese. Gliel’aveva recapitata la figlia di quel soldato, una giovane studentessa, con un biglietto che offriva la medaglia al Cancelliere in segno di riconciliazione e speranza”. Poi Van Rompuy, come in un campo sportivo, si è dato il cambio con Barroso, con stretta di mano e pacca sulla spalla. Schulz sorrideva un po’ scuro in volto, sicuramente avrebbe voluto salire anche lui sul podio.
Nel suo discorso il Presidente della Commissione ha parlato di “unicità” del progetto Ue che risiede “nell’aver associato la legittimità degli Stati democratici a quella di istituzioni sovranazionali”. Ma il portoghese ha voluto sottolineare anche un’altra cosa: “Uno dei simboli più visibili di questa unità europea è già tra le nostre mani: l’Euro, la moneta dell’Unione, la nostra moneta. Che non lasceremo indifesa”. Un messaggio che assume un significato forte soprattutto se si pensa che tra tre giorni il Consiglio europeo si discuterà di unione bancaria. Per il portoghese “l’impegno concreto dell’Unione europea nel mondo è profondamente segnato dalla tragica esperienza, nel nostro continente, del nazionalismo estremo, delle guerre e del male più atroce: la Shoah”. Un impegno su cui “si fonda il nostro approccio multilaterale per una globalizzazione all’insegna della solidarietà e delle responsabilità mondiali” un impegno che “guida le nostre azioni nei confronti dei nostri vicini e dei partner internazionali, dal Medio Oriente all’Asia, dall’Africa alle Americhe” e che “ci porta a condannare la pena di morte e a sostenere la giustizia internazionale, amministrata dalla Corte internazionale di giustizia e dalla Corte penale internazionale”.
Finiti i discorsi e le strette di mano, un cantante lirico ha intonato la “Mattinata” di Ruggero Leoncavallo, altro omaggio all’Italia dopo le citazioni da parte dello speaker norvegese di Siena, come città che ospita gli affreschi trecenteschi di Ambrogio Lorenzetti sulle allegorie del buon e del cattivo governo. E poi, mentre i tre presidenti e i leader dei Paesi membri lasciavano la sala del Nobel, le campane hanno intonato l’Inno alla gioia di Beethoven, inno ufficiale dell’Unione europea.
Alfonso Bianchi
I discorsi dei due presiedenti li trovi qui