Bruxelles – Nel suo ufficio nel Parlamento europeo, la deputata liberale francese Sylvie Goulard sorseggia un espresso, “non dico mai di no a un caffè”. Se non fosse per l’accento francese con cui lo dice sembrerebbe un’italiana. Convinta europea, prima che europeista, ha un vecchio e forte rapporto con il nostro paese e diversi suoi esponenti politici. Ha da poco scritto con Mario Monti il libro “La democrazia in Europa”, ed è stata consulente politico di Romano Prodi quando lui era Presidente della Commissione europea. E nei suoi discorsi passa con disinvoltura da Spinelli a Spaak, da Antonello Da Messina a Jan van Eyck. Oggi sogna liste europee alle elezioni perché si sente “più vicina ai moderati italiani e tedeschi che a quella pazza della Le Pen” e per l’Ue vorrebbe un ruolo di primo piano nella politica estera mondiale “dovrebbe avere un seggio all’Onu”. E ammonisce che il futuro dell’Ue non è nell’Unione bancaria, non è con quella, spiega “che conquisteremo il cuore della gente”.
Nel vostro libro scrivete che si deve lavorare con l’Europa ma reinventarla nello stesso tempo. Ci sono, dite, limiti democratici da superare. Quale potrebbe essere una riforma da attuare nell’immediato?
“La prima cosa da fare è rispettare le istituzioni. Nel nostro sforzo di scrivere un libro insieme io e Monti, un membro del Parlamento e uno del Consiglio europeo, abbiamo voluto dare il messaggio che è possibile lavorare insieme, avere una visione comune. Non bisogna considerare l’altra istituzione come il nemico. I Governi però hanno inventato il trattato di Lisbona, ma quando lo viviamo, cercano sempre di considerare il Parlamento come meno importante, soprattutto nelle questioni economiche. Questo non va”.
Lei è stata tra i protagonisti dello scontro sulla nomina di Yves Mersc alla Bce, anche in quel caso il Consiglio non ha ascoltato la vostra voce. Pensate ancora a qualche azione?
“Quella nomina è stata un errore, la questione delle donne non è secondaria perché ci parla dell’Europa in cui vogliamo vivere. Ora purtroppo non c’è nulla più che il Parlamento possa fare. Ma il signor Mersc se verrà al Parlamento troverà un comitato di accoglienza”
La spinta ideale su cui si è costruita l’Unione europea non sembra più sedurre una crescente maggioranza di cittadini. Come potrebbe a suo avviso riacquistare consenso come progetto?
“È vero che all’inizio c’era una spinta più ideale, ma negli ani 50 c’era soprattutto la presa di coscienza dell’interdipendenza, e non solo la volontà di avere la pace. Spinelli, Schumann, Spaak e tutti quelli che hanno contribuito all’Unione comunitaria hanno riflettuto su come superare gli interessi immediati e guardare al futuro. La Comunità europea del carbone e dell’acciaio non era affatto una cosa affascinante, era pragmatismo, capacità di costruire l’ideale su cose molto concrete. Ma se le generazioni di oggi credono che la pace in Europa sia fatta, vuol dire che i fondatori hanno vinto, hanno avuto ragione”.
Il Nobel ha premiato proprio questo impegno per la pace dell’Ue, un impegno ideale però, perché nei fatti l’Europa non ha una politica estera.
“ll Nobel lo ritengo un’occasione per riflettere. Da 20 anni diciamo agli europei che abbiamo una politica estera comune ma non c’è, e questo continuare a usare parole che non hanno un contenuto sta distruggendo l’Europa. La colpa è degli egoismi nazionali. Io credo che dobbiamo far capire alla Francia che dobbiamo far dare un seggio all’Onu alla diplomazia europea. Ma non è tutto negativo”.
Qual è l’altra faccia della medaglia?
“L’Europa stessa è un messaggio formidabile per chi ci guarda da lontano. Noi francesi ci siamo uccisi con i tedeschi per qualche pezzo di territorio tra Verdun e il Lussemburgo. A Verdun sono morti più di trecentomila giovani, per niente. Il fronte non si spostò nemmeno. E quando oggi vediamo battaglie assurde nel mare cinese per qualche isola, o tra Gaza e Israele, penso che è grave che non abbiamo l’influenza che vorrei. Ma loro sanno che c’è un posto nel mondo in cui la gente è passata dalla guerra per il territorio alla vita in comune e anche ad avere delle frontiere che nessuno vede più. Un esempio concreto di una forza straordinaria”.
Lei ha parlato di parole che perdono di valore, tra queste c’è sicuramente la troppo abusata “europeista”. Lei che significato le dà?
“Essere europeista significa avere fiducia nell’Europa e negli europei, in questa diversità che è la bellezza di questo continente. Ci sono tante tradizioni che ci uniscono mentre tanti pensano che ci dividano. Pensiamo alla contrapposizione tra pittura italiana e fiamminga, è una cosa artificiale. Antonello Di Messina o Jan van Eyck viaggiavano e apprendevano le tecniche degli altri paesi. E così oggi esiste una pittura europea con la luce del nord nella fiamminga e quella del sud nell’Italiana”.
Ma noi siamo ancora più legati alle identità nazionali che a quella comune…
“Le identità nazionali costruite nel ‘900 sono artificiali. Non solo in Italia o in Germania ma anche in Francia. La Borgogna è stata parte dell’impero di Carlo V, la contea di Nizza era italiana, l’Aquitania era con gli inglesi e l’Alsazia era metà tedesca. Bretagna e Provenza non parlavano nemmeno la stessa lingua. Questa visione delle nazioni con identità forti è stata sviluppata perché alla gente piacciono le storie, ma non è la storia”.
Però avremmo bisogno di “storie” anche per affezionarci all’Europa.
“È chiaro che il futuro dell’Europa non è nell’unione bancaria. Un progetto utile sia chiaro, ma non è con questo che avremo il cuore della gente. Dobbiamo dimostrare di essere capaci di andare nel mondo, di portare avanti la nostra visione dei diritti umani, della protezione dell’ambiente. E su questo non vedo differenze tra un giovane italiano e uno polacco. Forse non siamo d’accordo su tutto ma di fronte al cambiamento climatico globale cos’è la Francia da sola?”.
È favorevole quindi quindi a liste europee per le elezioni del Parlamento Ue.
“Sarebbe assolutamente necessario. Nelle costituzioni nazionali è vietato essere legato alla propria città, un parlamentare napoletano è obbligato a rappresentare tutta l’Italia. In Europa accade il contrario. Io mi sento molto più vicina a un italiano moderato, a un tedesco moderato che alla Le Pen, che ho in comune con quella pazza? Io non voglio essere prigioniera di questa cittadinanza”.
Il Parlamento sta lavorando all’elezione diretta del Presidente della Commissione europea. Lei cosa ne pensa?
“Non è il modo giusto per trovare una soluzione per l’Europa. Se vogliamo mantenere il sistema comunitario la Commissione non deve essere politicizzata, altrimenti perderebbe il suo ruolo di coordinatore neutrale. Come potremmo essere obbiettivi se avessimo una Commissione esplicitamente di sinistra o di destra? La logica comunitaria era un’altra. La Commissione non era il Governo e per me non dovrebbe diventarlo. Chi la propone va direttamente alla fine del processo senza chiedersi che sistema vogliamo”.
Lei che sistema vorrebbe?
“Per me il sistema comunitario non ha niente a che vedere con Montesquieu e con il check and balance. Io sono piuttosto favorevole a un’organizzazione di tipo federativo. Se avessimo un Governo europeo allora si che avrebbe senso eleggere direttamente il suo presidente. Ma se decidiamo di accettare il sistema comunitario, non possiamo politicizzare la Commissione”.