Un nuovo intervento dello scrittore Diego Marani sull’Unione europea
Una riflessione sul potere e la sua “linguistica”. La forza evocativa delle parole
Qualcuno avrà notato che da sempre, nei documenti del Consiglio dei ministri dell’Unione europea, i diversi palazzi sede delle istituzioni europee non vengono mai chiamati appunto palazzi ma edifici. Le convocazioni alle riunioni, gli ordini del giorno, i verbali parlano sempre di edificio Charlemagne, edificio Justus Lipsius, edificio Lex, edificio Berlaymont (nella foto). Al contrario di quanto accade nelle nostre capitali, dove le istituzioni dello stato sono palazzi: Palazzo Chigi, Palazzo Madama, Palais Bourbon, Palais de l’Elysée, Palace of Westminster, Palace of Whitehall. Una consuetudine linguistica apparentemente insignificante ma che è invece anch’essa lo specchio di come le istituzioni europee si vedono e dell’immagine che danno di sé. Chiamando i suoi palazzi edifici, l’establishment europeo proclama subito il suo limite, si dichiara semplice luogo spaziale, di rilevanza forse immobiliare ma non politica. Gli oscuri funzionari che più di cinquant’anni fa redigevano i verbali delle prime riunioni del Consiglio dei ministri, sicuramente in francese, non ebbero dubbi sull’uso della parola bâtiment, che in italiano si dice edificio. A nessuno di loro sarebbe venuto in mente di chiamare lo Charlemagne o il Berlaymont palazzi. Nei palazzi c’è potere, visione, strategia, stato. Anche intrigo, ma comunque complessità. Negli edifici invece non c’è specificità di funzione e per questo ci può essere di tutto: dal bar al supermercato, dalla pasticceria alla parrucchiera. Proprio come nell’edificio dell’European External Action Service. E questo la dice lunga sulle sue ambizioni, sulla sua forza, sulla sua visione politica.
Diego Marani