Mancano tre mesi all’apertura della Fiera del Libro di Bruxelles, edizione 2013. L’ospite d’onore sarà la Spagna. Quest’anno è stata l’Italia, che grazie ad una felice intuizione di Filippo Segato, segretario della Società Dante Alighieri di Bruxelles, aprì questa nuova tradizione della Fiera: avere, ogni anno, un paese straniero come ospite d’onore. E fu un successo, migliaia di visitatori al Padiglione, scrittori del calibro di Antonio Pennacchi, Stefano Benni, Gianrico Carofiglio, Simonetta Agnello Hornby che hanno intrattenuto centinaia di persone nei tanti dibattiti. Si è costruito un patrimonio sul quale investire, nel nome della cultura italiana, il maggiore ‘asset’ del paese, per le centinaia di migliaia di italiani in Belgio e per i milioni di belgi interessati all’Italia.
Fu una gran fatica, si dovette lottare contro burocrazie e inefficienze, ma ci si riuscì. E forse fu un errore, perché quell’evento di successo rischia di diventare l’ennesimo simbolo della sconfitta italiana, dell’incapacità di un paese di costruire sulle sue basi, anche quando sono solide, della paura di lavorare su qualcosa che sembra impalpabile (che per qualche poveretto “non si mangia”) e che invece è la spina dorsale di ogni nostra attività, la nostra vera riserva aurea: la cultura.
Quest’anno gli organizzatori disperano di riuscire ad organizzare un più modesto stand italiano. L’ambasciata in Belgio tenta, lodevolmente e con impegno (ma senza una lira e solo con la capacità persuasiva di chi se ne occupa), di coordinare una serie di istituzioni italiane presenti nel regno che hanno avuto tutte una sola indicazione da Roma: non ci sono soldi, non vi impegnate per nulla perché nulla vi daremo; potete partecipare solo a iniziative finanziate dei privati. Anche l’Istituto di Cultura sembra disarmato, non riesce a impegnarsi su nessuna cifra, a mobilitare qualche energia.
C’è qualcosa che non va. Non va nel ministero della Cultura italiano che ha rifiutato ogni sostegno, nel ministero degli Esteri che queessendoci una “ospitata” formale non si impegna economicamente.
C’è qualcosa che non va nella presidenza del Consiglio, che pure dovrebbe vedere dove l’investimento ha un senso.
C’è qualcosa che non va nel sistema delle imprese italiane, che non hanno più soldi da investire, ma che forse non lo vogliono fare.
C’è qualcosa che non va quando ci si sgola in Parlamento europeo a difendere il valore della lingua italiana e non si muove un dito quando c’è l’occasione di far vedere che siamo un paese che crede in se stesso, nella sua storia e nella sua cultura e lo facciamo vedere anche all’estero, dove ci presentiamo con autorevolezza e caparbietà.
C’è qualcosa che non va quando gli editori italiani non si muovono se non hanno la copertura dello Stato, quando non si rischiano duemila euro per spedire un po’ di libri a Bruxelles per fare vedere che esiste anche un’editoria italiana.
C’è qualcosa che non va quando l’Italia, il paese più ricco di cultura al Mondo, uno dei “grandi” del G8, che compra aerei da guerra che costano centinaia e centinaia di milioni l’uno, il paese che rivendica un ruolo di primo piano in Europa, non è in grado di trovare 30.000 euro (sì trentamila, un’inezia rispetto a quanto qualche consigliere regionale ha rubato per comprarsi ville e auto) per partecipare ad un salone del libro in una città dove abitano 70.000 italiani, in uno stato dove vivono 300.000 italiani. In una città che è il cuore dell’Europa.
Lorenzo Robustelli