Solo in Belgio a rischio 354 posti di lavoro nello stabilimenti di Turnhout, provincia di Anversa
L’azienda “Difendiamo la nostra competitività” e intanto allestisce il l’Eindhoven per vincere
Philips, il colosso dei prodotti tecnologici dei Paesi Bassi, saluta l’Europa. Destinazione sud-est asiatico, almeno per quanto riguarda la produzione di lampade al Led. Costi minori, maggiore produttività: un’identità ben nota e sempre più applicata dalle aziende dell’una volta ricco occidente oggi sempre più in bolletta. Per uno stabilimento che apre i battenti da una parte di solito ce n’è un altro che i battenti li chiude, o se non li chiude poco ci manca. Philips ha annunciato un piano di ristrutturazione aziendale lacrime e sangue da 2.200 licenziamenti in tutto il mondo, Belgio compreso. Si tratta solo dell’ultimo annuncio, che porta a 6.700 il numero di posti di lavoro tagliati complessivamente. Non più tardi di un anno fa la società aveva annunciato il licenziamento di 4.500 persone, a cui si aggiungono le 2.200 di questi mesi. Di queste 354 verranno tagliate nello stabilimento belga di Turhout, nella provincia di Anversa, al nord del paese. Numeri alla mano, Philips lavora alla cancellazione di più di un quinto della sua forza lavoro di Turnhout (dove lavorano, per ora, 1.600 addetti) e più del 10% della forza lavoro del Belgio (Philips dà lavoro a 2.500 persone in tutto il regno). La motivazione è sempre la stessa: si taglia per ridurre i costi e ritrovare competitività. “Certi cambiamenti organizzativi si impongono per conservare la nostra competitività e provvedere allo sviluppo economico futuro”, ha commentato Alasdair Waugh, direttore di Philips Turnhout. La notizia non è nuova: a giugno era stata annunciata l’intenzione di ridurre l’organico di 136 unità, e nelle scorse settimane è stata annunciata l’intenzione di rimettere ulteriormente mano al personale riducendolo di ulteriori 218 unità. I sindacati sono sul piede di guerra. Ortwin Magnus, del sindacato socialista Fgtb, ha ricordato che “il costo salariale non rappresenta che il 4% del prezzo del prodotto”. Quello che nessuno finora ha fatto notare è che Philips sacrifica sull’altare della crisi le famiglie quando potrebbe operare altri tipi di scelte, come disinvestire nella propria squadra di calcio.
Pochi sanno che Philips detiene e controlla il Psv di Eindhoven, la squadra più titolata dei Paesi Bassi dopo l’Ajax. Psv – acronimo olandese per Philips Sport Vereniging – significa “unione sportiva Philips”: fondata nel 1913 come squadra dei dipendenti aziendali, ben presto è diventata una delle squadre più in vista d’Europa (una coppa Campioni vinta nel 1988 e il merito di aver lanciato calciatori quali, tra gli altri, Gullit, Romario, Ronaldo, Van Nistelrooy e Robben). Disputa le proprie partite nel Philips stadion, un impianto il cui nome indica tutto, e lo sponsor stampato sulla maglia è da sempre – neanche a dirlo – Philips. Ebbene, dopo un periodo senza vittorie in Eredivisie (l’ultimo campionato vinto risale al 2008), si è pensato a un rilancio in grande stile della squadra, costruita per tornare alla vittoria in patria e ritornare competitiva nelle competizioni europee. Il Psv ha ingaggiato Dick Advocaat, il tecnico noto per aver vinto la coppa Uefa e la supercoppa Uefa con lo Zenit San Pietroburgo (la squadra per cui tifa il presidente russo, Vladimir Putin, ndr), aver vinto aver allenato le nazionali di Paesi Bassi, Belgio, Corea del sud e Russia. Un tecnico di caratura internazionale dallo stipendio non certo economico. Altro ingaggio di peso quello di Mark Van Bommel (valore di mercato 800.000 euro), affermato campione e giocatore pluri-vincitore (quattro campionati d’Olanda, uno scudetto col Milan, un campionato spagnolo e una coppa Campioni con il Barcellona). Oggi, dopo quattordici giornate, la squadra è prima in classifica (due punti di vantaggio su Twente e Vitesse, e sei punti sull’Ajax, quarta): la politica di investimento sta dando dunque i suoi frutti, ma i dipendenti della Philips difficilmente saranno contenti. Philips delocalizza a taglia il personale con la scusa della competitività. E’ chiaro. Che figura farebbe se dovesse dire che le risorse che ha le usa per far vincere la sua squadra di calcio? I dettagli economici del costo di gestione del club non si conoscono, ma certo è indubbio che è più sostenibile pagare il normale salario del dipendente che i faraonici stipendi del mondo del calcio.
Renato Giannetti