“Vogliamo organizzare qualche trasferta in Italia, andare allo Juventus stadium…”. Nelle parole di Stefano, vicepresidente del Juventus club di Bruxelles, c’è molto dell’essere italiani all’estero. Il mondo, visto da Bruxelles, ha tutta un’altra prospettiva. Non calcistica, perchè la fede è fede, sempre e comunque. E dovunque, in certi casi. Gli italiani bianco-neri nella nella capitale belga vedono la loro terra d’origine come un posto dove andare, di tanto in tanto, a fare una visita. C’è qualcosa di strano in questo club, nato quasi per caso e già legato ai circoli ufficiali juventini. O meglio: non nato per caso, ma per gioco. Per quel gioco chiamato calcio che un anno fa ha attirato un gruppetto di tifosi juventini al Michael Collins, pub irlandese a metà strada tra la via dello shopping di Avenue Louise e il vivo quartiere di Chatelaine. Nel giro di poche partite il passaparola ha fatto crescere il numero degli appassionati – complici anche le prestazioni della squadra – fino a portare sistematicamente ad ogni partita un folto numero di persone, che da questo pub non si sono più spostate. Maglia bianco-nera indosso, sciarpa al collo: il piano alto del pub ormai è casa loro, quando gioca la Juventus. Che da oggi ha un club affiliato in più: lo Juventus club Bruxelles “Cinque maggio”.
“Il nome ricorda il 5 maggio 2002, giorno in cui, all’ultima giornata, l’Inter perdendo con la Lazio perse lo scudetto e lo vincemmo noi”, ricorda Stefano, maglia a strisce rosa-nero, i primi colori della Vecchia Signora. Un caso, o forse no. Il cinque maggio rappresenta una delle date più significative della storia calcistica recente: nella perenne rivalità Inter-Juve la caduta dell’una ha significato il conseguente trionfo dell’altra. Ma ironia della sorte, entrambe le squadre vengono seguite nello stesso pub. “Io gli interisti non li vedo mai”, dice Stefano. “Sarà perché non giochiamo mai in contemporanea… Comunque la cosa non mi dispiace”. L’Italia è lontana, la rivalità sportiva no. Ma tutto resta nella genuinità dello sport: sfottò e allegria. “Qui capita di rado che vengano tifosi di altre squadre, ma quando succede si accettano senza problemi”. Oggi lo Juventus club ha ottanta iscritti, ed è affiliato al Centro Coordinamento Juventus club DOC, l’associazione di tutti i club ufficiali. Il ritrovo per pochi juventini è diventato un club a tutti gli effetti nel giro di un solo anno. “All’inizio – ricorda Stefano – eravamo talmente pochi che avevamo problemi a vedere le partite. Non sempre cambiavano canale per noi”. Adesso, invece, è tutto diverso. Inoltre essere “nel giro” significa avere biglietti per le partite casalinghe. A Torino. “Vogliamo organizzare delle trasferte, andare nel nuovo stadio”. Pochi sono i torinesi tesserati allo Juventus club Bruxelles “Cinque maggio”, e ancor meno quelli che hanno visto coi loro occhi l’impianto della squadra, in Italia una vera e propria rivoluzione perchè il primo stadio di proprietà e perchè nuovo, e quindi all’avanguardia.
Essere juventini all’estero, in questo momento, è particolare: si è campioni d’Italia senza essere in Italia. Se non un controsenso, un ossimoro. E allora, per far apparire la cosa meno strana, ecco il collegamento mancante con la terra di origine: la trasferta in Italia, perchè per l’espatriato non ci può essere altro punto di vista. “L’idea – spiega Stefano – sta tutta qui: favorire un’aggregazione, la creazione di un gruppo e di rapporti che siano calcistici ma anche umani. Andare a Torino per starci due giorni, vederne i musei e visitare la città. O magari, se voli con altre compagnie aeree e atterri, che so, a Milano, cogli l’occasione per vedere Milano. Una specie di gita”. E’ l’Italia sognata di chi qui ci sta senza esserci nato. “Fino a poco tempo fa c’era un altro Juventus Club, dalle parti di Gare du midi”, ricorda Stefano. “Ma gli iscritti erano solo juventini nati qui, le seconde e le terze generazioni degli emigrati”. Al Michael Collins, invece, ci sono solo italiani. “Una decina di iscritti è straniera, ma siamo per lo più italiani”, precisa il vicepresidente. Quello appena nato rappresenta la continuità della juventinità a Bruxelles. Il piano della birreria che ospita il club – con alcuni tavoli riservati, quando gioca la Juve – è pieno. Si ride, si impreca, si canta. “Fino alla fine forza Juventus”. E poi un altro coro. “Noi siamo quelli del/ Juventus club Bruxelles/ beviamo solo Guinness e Duvel”. Il clima è da stadio, ma sobrio. “Di solito il presidente porta la bandiera”, dice Stefano. Ma il presidente stavolta non è venuto, e quindi non ci sono i colori. “Vogliamo fare gli striscioni da appendere, ma ancora non abbiamo avuto il tempo. Con le pratiche per il club e tutto il resto…”. Ma arriveranno. Per poterli esporre nel club, certo. Ma soprattutto allo Juventus stadium.
R.G.