In termini relativi sono pochi soldi, intorno all’1,2% del PIL dell’Unione, eppure lo scontro per il piano finanziario pluriennale 2014 – 2020 (Mff) è solo all’inizio, e già sembra essere senza fine. La presidenza cipriota del Consiglio Europeo oggi ha detto la sua, presentando una nuova bozza per l’Mff , e proponendo un taglio complessivo del budget europeo di almeno 50 miliardi di euro, per ora, poi la cifra potrebbe aumentare.
Questi tagli andrebbero a discapito di tutte le rubriche di spesa, in quantità diverse e con una tendenza a favorire le regioni più povere, ma, poiché sono stati da poco pubblicati, ancora non si conosce l’impatto che avrebbero nello specifico sull’Italia. Il nostro paese però, come tutti i paesi membri, ha già preso una posizione ben definita all’interno dei due schieramenti che si sono creati. Da una parte ci sono i cosiddetti amici della coesione e dall’altra quelli della “better spending”, in termini tecnici i beneficiari netti ed i contributori netti.
A pieno titolo l’Italia fa parte dell’ultimo gruppo: secondo un rapporto della Commissione nel 2011 il suo contributo netto, cioè i soldi dati in più rispetto a quelli presi, è stato di 5 miliardi di euro, ossia lo 0,38% del proprio PIL. Una cifra “inaccettabile” secondo Roma, che continua a chiedere una ridefinizione dei criteri di allocazione del budget, ritenuta “assolutamente necessaria”.
Non è però l’Italia a creare il maggior scompiglio: prima ancora degli stati membri si è pronunciata la Commissione Europea, che ha fatto sapere che non appoggerà il pacchetto di proposte della Presidenza di turno. Per l’esecutivo di Bruxelles l’Mff deve essere “uno strumento per investire in crescita e occupazione” e a palazzo Berlaymont sono convinti che i tagli proposti da Cipro vadano in direzione opposta. La Commissione gioca al rialzo, sostenuta dal Parlamento – che ha ugualmente criticato la bozza per le riduzioni di budget – e in aperto disaccordo con i ciprioti. Questi ultimi, che hanno un peso politico piuttosto leggero, si ritrovano con il difficile compito di dover mettere d’accordo tutti, e tra questi ci sono giganti come Gran Bretagna, Francia, Italia, Germania. I poveri ciprioti al momento non trovano altro che ostacoli sulla via dell’intesa ed hanno poca forza per imporre una loro visione.
Non ci sono solo le critiche delle istituzioni UE. La Gran Bretagna si è messa di traverso nelle trattative e, non solo non ha intenzione di ammorbidire la linea, ma potrebbe anche trovare un buon supporto da parte di paesi come Svezia e Paesi Bassi, che chiedono fino a 200 miliardi di riduzione della spesa. Il premier David Cameron, nel tentativo sempre più complicato di difendere la sua poltrona dall’attacco silenzioso del sindaco di Londra Boris Johnson, dice di esigere una spesa più efficiente da parte dell’Europa. La partita interna che sta giocando è difficile, soprattutto nel cercare di fermare le forti spinte a lasciare l’Unione. Il premier fa la faccia dura, potrebbe impedire l’approvazione dell’Mff per alcuni mesi allo scopo di mostrarsi intransigente all’interno. Ma non si esclude che invece questa possa essere l’ultima partita giocata dai britannici (e da Cameron) nell’Ue, se dovessero prevalere le spinte separatiste.
I soldi in ballo sono relativamente pochi, la trattativa è in realtà molto politica. Se però non si trova un accordo in fretta, il messaggio che riceveranno i mercati sarà quello di un’incapacità decisionale dell’Unione. Una brutta figura che farebbe perdere credibilità a tutti i 27 Stati Membri.
Il pacchetto è complesso, la soluzione è lontana e l’agenda è fitta d’impegni e di incontri a ogni livello e in ogni formato. Il tutto si dovrebbe concludere con il vertice del 22 e 23 novembre. In questa sede, si spera, si giungerà a una soluzione. Ma c’è chi sospetta che invece la fine sarà a febbraio, perché Cameron vorrà così, e questa volta ha davvero il diritto di veto.
Camilla Tagino