“L’austerità calma i mercati ma non ridà speranza alle famiglie” e per questo c’è bisogno “di lanciare un New Deal che punti sui settori maggiormente in grado di creare occupazione come informatica e sanità”. Dal suo ufficio di Bruxelles, la maltese Anna Maria Darmanin, può avere un quadro chiaro della crisi economica e delle ripercussioni che questa sta avendo sulla popolazione europea. È la vice-presidente del Comitato economico e sociale europeo (Cese), organo consultivo dell’Unione europea che elabora pareri sui provvedimenti Ue riguardanti economia e politiche sociali. Tra le sue ‘mission’ c’è quella di fungere da ponte tra le istituzioni e la società civile. Non può quindi non essere preoccupata per il messaggio che le proteste di piazza in Grecia, Spagna e Portogallo stanno lanciando all’Europa.
Pensa che la protesta possa estendersi presto ad altri Paesi?
“Non lo escludo. Capisco bene chi scende in piazza. Gli istituti che hanno causato la crisi prendono i soldi del piano di salvataggio mentre i lavoratori vedono i loro stipendi diminuire, i servizi sociali tagliati e il tasso di disoccupazione che sale. L’austerità serve a calmare i mercati ma non ridà speranza alle famiglie. Chi è disperato non può fare altro che scendere in piazza a protestare”.
Non a caso il provvedimento più criticato dai sindacati è il Fiscal Compact, il patto sulla disciplina di bilancio.
“Il peccato originale del Fiscal Compact è che è un provvedimento nato al di fuori della democrazia europea, che non è stato approvato dalle istituzioni Ue, non ha ricevuto l’ok del Parlamento. Inoltre al suo interno manca del tutto l’aspetto sociale della crisi. C’è bisogno per questo di proposte per stimolare la crescita e creare lavoro”.
La Commissione europea cosa sta facendo su questo tema?
“Una cosa positiva è di sicuro il Job Recovery Plan, anche se non possiamo non sottolineare che sia stato un provvedimento tardivo. Al suo interno ci sono misure importanti come il taglio del carico fiscale sul lavoro, i sussidi per le imprese che assumono e la richiesta di salari decenti, posti di lavoro di migliore qualità. Ma questo da solo non basta”.
Quali altre proposte suggerisce?
“Crediamo innanzitutto che si debbano utilizzare meglio i fondi strutturali e della Pac (Politica agricola comune)”.
Sui fondi strutturali però c’è l’incapacità delle regioni a spenderli, e si rischia che vadano in fumo. Non pensa che forse sarebbe meglio destinare quei soldi ad altri scopi?
“Il problema c’è e non è da poco. Non credo però in risposte ‘dirigiste’. Piuttosto penso che dovremmo rafforzare la cooperazione e il ‘competence building’. I tecnici delle regioni più virtuose potrebbero essere inviati ad aiutare quelli delle regioni più in difficoltà. C’è da dire inoltre che anche le regole della Commissione sui fondi sono molto rigide e portano molta burocrazia, e questo frena le richieste. Ci vorrebbe un po’ più di flessibilità”.
Quali dovrebbero essere le priorità dell’Ue per combattere la crisi in senza imporre ulteriori sacrifici?
“C’è bisogno di un piano europeo per la crescita, un ‘New Deal’, con grandi progetti mirati, che coinvolga alcuni settori chiave che sono in grado di creare occupazione e rimettere così in movimento l’economia europea. Penso ad esempio all’informatica e alla sanità, due settori in cui ci sono ancora molti margini di crescita. Questo piano potrebbe essere finanziata in parte con l’utilizzo, con effetto immediato, dei fondi residui del periodo 2007-2013, a cui poi aggiungere quelli sono previsti per il periodo 2014-2020”.
E poi su quali altre entrate l’Ue dovrebbe fare affidamento?
“Per potenziare il piano si dovrebbe lavorare all’emissione di due distinte tipologie di Eurobond: obbligazioni non negoziabili per stabilizzare il debito e obbligazioni negoziabili per stimolare la crescita, attirare gli investimenti dei paesi non Ue e cofinanziare i progetti della Banca europea per gli investimenti. Ma bisogna agire in fretta, non c’è tempo da perdere”.
Intervista raccolta da Alfonso Bianchi
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