Stabilimenti che chiudono, aziende che delocalizzano, imprese che riconsiderano le proprie strategia: a pagare sono le persone che ci lavoravano, che dall’oggi al domani si ritrova senza più niente o quasi. E’ la dinamica ormai sempre più diffusa di una crisi che continua a mordere. Ne sanno qualcosa in Belgio, dove Ford ha annunciato la chiusura dello stabilimento di Genk, e la rete è piena di immagini dei lavoratori e delle lavoratrici disperati al momento del ricevimento della notizia. Fino a fine 2014 si continuerà a produrre i modelli Mondeo, S-Max e Galaxy nella provincia fiamminga del Limburgo, poi l’assemblaggio delle vetture sarà spostato nello stabilimento spagnolo di Almussafes, a Valencia.
Per il Belgio, che ha già assistito alla chiusura degli stabilimenti Renault e Opel a Vilvoorde e Anversa, è un duro colpo. La stampa nazionale si interroga: “Il Belgio è condannato alla de-industrializzazione?”, ha titolato recentemente Le Soir, quotidiano francofono di un paese da sempre diviso ma oggi unito dagli effetti della crisi. Solo a Genk l’operazione annunciata da Ford è destinata a lasciare profonde ferite economiche e sociali. Si stima che tra dipendeni dell’azienda (4.300) e indotto perderanno il proprio posto di lavoro qualcosa come 10.000 persone, in un vero e proprio terremoto che colpirà le famiglie di quella parte di Belgio ritenuta da tutti la più ricca del regno, ma oggi caduta in disgrazia, come molti in Europa e non solo.
Sono i numeri di una crisi che spazza via le imprese con le loro attività commerciali, scuote le banche con i soldi dei loro risparmiatori, annienta l’uomo nei suoi diritti fondamentali e nella sua dignità. A essere in gioco non sono “solo” un posto di lavoro e una famiglia, ma i diritti civili che l’uomo ha faticosamente conquistato in decenni di rivendicazioni e lotte in tutto il mondo occidentale, quello dell’ormai dimenticato benessere e delle democrazie, oggi pronte a ridimensionarsi di fronte a turbolenze che stanno spazzando via anche i governi. Ufficialmente Ford ha deciso per la chiusura del suo stabilimento a Genk per la sovraccapacità produttiva: la casa automobilistica statunitense in Europa produce troppo, crea un’offerta superiore alla domanda, peraltro in costante calo dal 2007. Fino a oggi – almeno questa, la versione ufficiale – Ford ha cercato di andare avanti, ma ora non è più sostenibile, nonostante i corposi aiuti pubblici.
Quindi via, in Spagna, dove si concentrerà la produzione di auto: Mondeo, S-Max e Galaxy verranno assemblate assieme ai modelli Transit Connect e Kuga – già realizzati nell’impianto valenciano – anche se nella ristrutturazione aziendale uno dei marchi tra Transit Connect e Kuga potrebbe finire altrove. Via, in Spagna, dove la manodopera costa meno e dove lavoratori e sindacati hanno rinunciato a diritti e hanno avanzato meno rivendicazioni in cambio di occupazione. Un fatto taciuto, questo, dalla multinazionale dell’automobile, ma abbastanza noto agli addetti ai lavori. Lo sanno in Belgio (“i livelli salariali sono più elevati da noi”, sottolinea la stampa belga), lo sanno in Spagna (dove sono tutti contenti, dato che Ford assumerà oltre 1.000 nuovi operai, portando da 6.100 a 7.500 i dipendenti dello stabilimento di Almussafes), lo sanno alla Ford. Si assiste quindi all’ultimo atto di una divisione sociale che vede senza lavoro gioire per la sorte di altri nuovi senza lavoro: è la guerra tra poveri – di Spagna e Belgio, in questo caso – che mette in luce la rinnovata forza imprenditoriale a livello contrattuale, la divisione dei lavoratori, la debolezza sindacale, la deriva dello stato di diritto e dei diritti. Il primo ministri belga, Elio Di Rupo, si è detto “costernato” per la decisione di Ford di chiudere a Genk. Sul resto, nessuno si stupisce più. Ma si sa: con le crisi sono soprattutto logiche, regole e valori ad essere rimessi in discussione.
Renato Giannetti
Aggiornamento 26 ottobre:
La Commissione europea è pronta a venire incontro al Belgio e alla provincia del Limburgo. Dopo l’annuncio shock di Ford sulla chiusura dell’impianto di Genk e la riunione straordinaria tra il primo ministro belga e il presidente della regione Fiandre (che hanno chiesto una risposta comunitaria alla crisi), l’esecutivo comunitario tende una mano al regno di Alberto II. “La Commissione europea è pronta a discutere del problema e a valutare cosa è possibile fare attraverso il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione”, ha fatto sapere Jonathan Todd, il portavoce del commissario Ue per l’Occupazione, Laszlo Andor. “Si tratta di sedersi attorno a un tavolo e discutere con le autorità del Belgio su cosa si può fare” a livello Ue. In questi casi, ha ricordato Todd, “occorre che ci sia una richiesta di intervento da parte del paese interessato”. Insomma, dovrà essere il premier belga, Elio Di Rupo, a rivolgersi alle istituzioni comunitarie. Di Rupo si è già detto pronto a voler risolvere il problema insieme all’Unione europea, e in Commissione si stanno già attrezzando. “Il Fondo di adeguamento alla globalizzazione prevede programmi di nuova formazione, assistenza, e contatti con le imprese”, ha ricordato Todd. Insomma, l’esecutivo comunitario si mette a disposizione dei dipendenti di Genk.
A livello più generale a palazzo Berlaymont si lavora a una nuova strategia complessiva per il settore auto: l’8 novembre il vicepresidente della Commissione Ue responsabile per l’Industria, Antonio Tajani, presenterà al collegio dei commissario il nuovo piano d’azione per l’auto. Si cerca di rispondere ai tre grandi problemi che affliggono il comparto auto in Europa: mancanza di investimenti, sovracapacità e calo della domanda.
R.G.