Li chiamano Neet (Not in Education, Employment or Training) e sono quei ragazzi tra i 15 e i 29 anni che non lavorano e non studiano: sono inattivi. Dopo tanto parlare di disoccupazione giovanile l’Emcc, il Centro di Monitoraggio Europeo per il Cambiamento, ha pubblicato lunedì il più grande rapporto mai redatto in Europa sul tema.
Le cifre non lasciano più spazio all’immaginazione: i Neet in Europa sono in media il 15,4% della popolazione giovanile, percentuale che sale fino al 22,7% se si guarda all’Italia, la peggiore in Europa dopo la Bulgaria. Niente a che vedere, ovviamente, con i paesi del nord, come Svezia e Paesi Bassi, dove la media si aggira solo intorno al 5%. Il rapporto è stato pubblicato con un obiettivo chiaro: “fornire un quadro delle caratteristiche e dei fattori di rischio della popolazione Neet”.
I risvolti negativi, infatti, non sono solo sociali ma, la “generazione perduta”, per usare le parole del presidente del Fondo Monetario Internazionale, Christine Lagarde, ha un enorme costo economico: 153 miliardi di euro annui. Spesa che in Italia arriva sino al 2% del Pil in Italia, dove, visto che i sussidi alla disoccupazione non sono ai livelli di quelli nordeuropei, più che un costo si rivela essere, piuttosto, una perdita di ricchezza.
Il rapporto indica i soggetti maggiormente a rischio: “i giovani con un basso livello di educazione hanno il triplo delle possibilità rispetto agli altri di diventare Neet”, a seguire ci sono i figli di immigrati, di genitori divorziati o disoccupati, i disabili, e persino chi vive in aree remote ha una possibilità e mezza in più di rientrare tra i Neet. In Italia come in Grecia è poi presente un altro fenomeno tutto “mediterraneo”, qui è assai elevato il numero di ragazze che sceglie a prescindere di non lavorare, per occuparsi dei figli e della vita domestica. Suona, dunque, piuttosto urgente la proposta di Luca Scarpiello, Vicepresidente dello European Youth Forum, che chiede all’Unione Europea di introdurre una European Youth Garantee, che si impegni ad offrire ai giovani un lavoro, programmi di formazione o di aggiornamento per almeno i primi 4 mesi di disoccupazione.
Camilla Tagino