I due turisti accusati di aver ucciso un loro compagno di viaggio
L’eurodeputato Mastella chiede l’intervento della Ashton: “Sono innocenti”
Arriva al Parlamento europeo il caso di Tomaso Bruno e Elisabetta Boncompagni, i due italiani condannati all’ergastolo in India perché accusati di aver ucciso un loro compagno di viaggio, Francesco Montis, durante una vacanza a Varanasi. La settimana scorsa i giudici della Corte di Appello di Allahabad hanno respinto il ricorso contro la sentenza presentato dagli avvocati dei due e oggi l’eurodeputato Clemente Mastella (Udeur/Ppe) ha deciso di inviare un’interrogazione scritta all’Alto Rappresentante per la politica estera UE, Catherine Ashton, per chiederle di intervenire per tentare di fare luce su una vicenda che fin dall’inizio è risultata contraddittoria.
“Nei giorni scorsi è stato respinto l’appello contro l’ergastolo inflitto ai due giovani italiani che da due anni e mezzo si trovano rinchiusi in carcere a Varanasi – scrive Mastella – Tutto ciò, nonostante la loro difesa abbia strenuamente sostenuto: la loro assoluta estraneità; un’autopsia piena di contraddizioni ed errori, svolta da un oculista anziché un anatomopatologo; un quadro accusatorio lacunoso e l’evidente inattendibilità di alcuni testimoni”.
La loro vicenda, effettivamente molto complicata, non ha avuto lo stesso risalto mediatico ricevuto dai due marò italiani, anche loro imprigionati in India a seguito di un’accusa che ritengono ingiusta. Eppure gli elementi per quantomeno dubitare della correttezza del processo ci sono tutti. Nel 2010 Tomaso Bruno, 27 anni di Albenga, Elisabetta Boncompagni, 37 anni di Torino, e il suo fidanzato Francesco Montis (della provincia di Oristano), all’epoca 31enne, erano andati in vacanza in India. La mattina del 4 febbraio 2010, Montis si era sentito male e i due amici avevano chiesto aiuto al personale dell’albergo in cui soggiornavano, ma inutilmente, il giovane morì in ospedale. La polizia decise di arrestare i due amici sostenendo che lo avevano ucciso per sbarazzarsi di lui. Il referto dell’autopsia parò di morte per asfissia da strangolamento e menzionò sei ferite da oggetto contundente alla testa e al collo della vittima. Il vice-commissario Sageer Ahmad, che coordinò le indagini sulla morte, disse che «alla radice di tutto c’era un triangolo amoroso. La Boncompagni, che prima era legata sentimentalmente con Montis, aveva poi allacciato una relazione con Bruno, e questo aveva fortemente depresso la vittima».
Ma la difesa ha sempre parlato di prove contraddittorie, di un’autopsia irregolare svolta da un oculista, di un dibattimento svolto senza nemmeno un interprete, di testimonianze che proverebbero invece l’innocenza dei due ragazzi. Tra queste quella dei dipendenti dell’albergo che affermarono che la vittima stava male già la sera prima di morire nonché quella della madre del ragazzo deceduto. Quest’ultima dichiarò all’Ansa “Non abbiamo mai creduto all’omicidio, per noi nostro figlio è morto per cause naturali”.
Per saperne di più:
– Prigionieri del silenzio, un sito dedicato ai detenuti all’estero
– La pagina Facebook in sostegno a Tomaso Bruno e Elisabetta Boncompagni