Angelilli: bene così, ma anche le istituzioni diano l’esempio
Le donne lavorano di più e guadagnano di meno. Secondo Eurostat sono più brave a scuola, si laureano prima e con voti più alti, ma poi non ottengono, se non per minima parte, incarichi dirigenziali. Confermano una realtà nota i dati presentati in occasione del dibattito “Uguaglianza di genere – Quali sono le iniziative dei parlamenti dell’Unione Europea?”, presieduto da Roberta Angelilli, vicepresidente del Parlamento europeo e presidente del Gruppo di Alto livello sull’uguaglianza di genere. E in tempi di crisi economica la situazione non può che peggiorare.
Tra gli aspetti principali al centro della discussione il diritto al congedo parentale, la parità di retribuzione e la proposta di direttiva per l’introduzione delle quote rosa nei consigli di amministrazione, che, rifiutata da un gran numero di governi, anche “avanzati”, ha raccolto un ampio consenso tra le deputate in sala. La Commissaria Ue alla giustizia Viviane Reding fa sapere, anche se l’idea delle quote è già stata bocciata da tante cancellerie, che presenterà comunque, entro la fine dell’anno, una proposta – co-firmata dal vice presidente Tajani e dai commissari economici Olli Rehn, Laszlo Andor e Michel Barnier – per imporre il 40% di quote di genere nei Cda delle società quotate in borsa.
Un provvedimento che si rende necessario se si considera la situazione all’interno delle istituzioni. Le impiegate hanno meno chances rispetto agli uomini di raggiungere posti di alto livello e, a parità di lavoro, all’interno dell’Unione Europea guadagnano il 17,5% in meno dei loro colleghi. Tra i parlamentari europei le donne sono il 35%; ancor meno le deputate nazionali, in media il 25%. Tra i funzionari la componente femminile è nettamente maggioritaria, ma alla fine della piramide gerarchica i capi unità sono tutti, o quasi, uomini. Il Parlamento europeo ha avuto solo due presidentesse, Simone Veil e Nicole Fontaine, su un totale di 29 mandati, mentre la Commissione europea ha avuto dodici presidenti di cui nessuno donna. La foto di gruppo di un consiglio della Bce è eloquente: nessuna donna nel Cda.
Un vecchio problema ancora quasi sempre irrisolto è spesso motivo di rinuncia alla carriera per le donne: l’impossibilità di conciliare la vita famigliare e l’attività professionale. Da un punto di vista contrattuale esistono garanzie per la lavoratrice, ma in un momento di crisi finanziaria ed economica sono le barriere oggettive come i tagli sui servizi rivolti alla sfera privata (asili nido, post – scuola, aiuti domestici) ad impedire alle donne di essere madri e lavoratrici allo stesso tempo. “Queste forme di assistenza sociale” fa notare Mikael Gustafsson (un uomo), Presidente della Commissione diritti della donna “sono le prime ad essere ridimensionate in tempi difficili. Vengono chiusi asili e fermati i finanziamenti all’ambito domestico lasciando alle donne il compito di sanare le lacune aperte dai tagli di bilancio”.
Presidente Angelilli, “le istituzioni diano il buon esempio”. Cosa possono fare e qual è il loro ruolo?
Se chi detta le regole non dà il buon esempio è evidente che in un momento di crisi il mondo del lavoro privato cercherà di sottrarsi agli obblighi e ai programmi per l’avanzamento di carriera delle donne. È imbarazzante, per il Parlamento europeo, non applicare a se stesso in primis le regole e le linee guida che indica agli Stati membri. Le istituzioni devono dare regole ed elaborare direttive che stabiliscano in maniera obbligatoria parametri e livelli da raggiungere. E’ necessaria un’armonizzazione tra le direttive provenienti dall’Ue e quelle degli Stati membri. Serve un obbligo per quest’ultimi al rispetto delle regole volte al raggiungimento di livelli di rappresentanza dal momento che “volontariamente” questi non si raggiungono.
Favorevole o contraria alle quote rosa?
Favorevole. Inizialmente ero scettica poiché credevo che la donna dovesse farsi valere per le sue capacità e non essere considerata come soggetto pregiudizialmente debole. Poi mi sono resa conto che gli stereotipi esistono davvero e quando è chiaro che vi sono barriere imposte allora è giusto incoraggiare la politica, le istituzioni e le aziende; senza quote rosa le donne non sarebbero mai scelte perché discriminate.
Un’introduzione delle quote rosa deve andare di pari passo con un cambiamento di mentalità…
Sono convinta che le leggi aiutino il cambiamento della mentalità; quando si stabiliscono obblighi tutti sono tenuti a rispettare le regole.
L’Italia a che punto è?
L’Italia è a buon punto su questo fronte; ha buone leggi e c’è sensibilità per i congedi di maternità. Viviane Reding cita sempre la nostra legge Golfo – Mosca riguardante le quote di rappresentanza all’interno dei Consigli di amministrazione delle aziende quotate in borsa e statali.
Loredana Recchia