Giacomo Lariccia, musicista e cantautore italiano, arriva a Bruxelles 12 anni fa, esce dalla Gare Centrale in un pomeriggio di settembre, con la prospettiva di fermarsi tre mesi al massimo perché “con i soldi che avevo in tasca non potevo stare oltre” e con l’idea di fare un’esperienza al Conservatorio di Bruxelles.
Oggi il suo disco “Colpo di Sole” è tra i sei in finale che concorrono per la Targa Tenco, premio assegnato alla migliore opera prima tra i dischi di canzone d’autore italiana dell’anno corrente.
Dopo aver percorso in autostop le autostrade del nord, chitarra in spalla, Giacomo Lariccia si innamora, alla fine, della capitale d’Europa. E del jazz. Incide il suo primo disco come chitarrista e, insieme a musicisti di ogni confine e provenienza, viaggia, suona, percorrendo, quindi, il sud. Tunisia, Egitto, Israele, Barhain, Italia e Spagna. Come succede spesso ai grandi, uno dei suoi brani, per un caso fortuito, finisce nelle mani di un critico che, a sua insaputa, lo iscrive al primo concorso di canzoni dal quale esce vincitore. Oggi , insieme a un centinaio di persone, per la maggior parte italiani a Bruxelles, ha prodotto il suo primo disco da cantastorie.
Come nasce Colpo di Sole?
Dopo pochi anni dal diploma ho inciso il primo disco da chitarrista. L’istituto italiano di cultura mi aveva chiesto di produrre un omaggio ai cantautori italiani. Questa è stata, per me, l’occasione per riscoprire il mondo della canzone d’autore, alla quale mi ero avvicinato durante l’adolescenza, ma che avevo poi dimenticato per dedicarmi al Jazz. Ho deciso, in seguito, di partecipare ad un concorso italiano per la canzone d’autore ed è qui che nel 2009 è iniziato il progetto per Colpo di Sole: per la prima volta ottenevo un ampio riconoscimento da parte di pubblico e critica che apprezzavano le mie canzoni. Mi sono sentito incoraggiato e ho iniziato a crederci. Il primo ostacolo è stato la difficoltà di trovare un produttore. Allora mi sono dato da fare e con Marco Locurcio, il mio produttore artistico, ci siamo lanciati nell’avventura chiedendo finanziamento e sostegno a coloro che venivano a sentire i miei concerti. Suonavo ai festival di Jazz, in piccoli locali e anche nelle case private con una rassegna di “Concerts chez moi” che tenevo tra il Lussemburgo, il Belgio e l’Italia.
Si, il padrone di casa mi invitava e io andavo a suonare gratuitamente davanti ad un pubblico di 30–40 invitati, anch’essi ospiti. Per me era un’occasione per parlare del mio disco e proporre loro di entrarvi a far parte come azionisti. L’idea era quella di raccogliere fondi e coinvolgere altre persone in una produzione collettiva. Ad esempio quelli che compaiono nel video di “Scendo pedalando” non sono attori ma ammiratori che hanno sostenuto il disco. Esattamente come le cento persone in copertina.
Parli della gente a casa della gente: sei un cantautore popolare a tutti gli effetti si può dire… dove trovi il materiale per i tuoi pezzi?
Per le mie storie traggo spunto sia dai problemi dell’attualità che traduco in pezzi come Povera Italia, che dalle memorie dei miei antenati. Gli anziani hanno la capacità di rendere tangibili i ricordi che diventano facilmente materiale per canzoni. In questo caso si tratta di testi a metà tra finzione e realtà poiché riportano la storia di gente che ha vissuto, ad esempio, a Roma sotto l’occupazione, ma che non ha potuto raccontare nulla e di conseguenza non si sa come va a finire. Il mio desiderio è quello di dar voce a queste storie per far si che non vadano perdute, anche se a volte mi tocca dare un’aggiustatina e inventarne i finali…
Pensiamo ad esempio alla vicenda dell’attendente Cancione in bicicletta al quale hai regalato un seguito roseo…
Si, questo è uno degli episodi sulla II Guerra Mondiale che mio nonno mi ha raccontato quando ero piccolo. L’attendente è realmente esistito e ha rubato una bici al Tenente, forse per andare al Sud d’Italia, ma di lui non si è più saputo nulla dunque ho dovuto dare spessore al suo personaggio inventando per lui una sorta di background umano e un seguito per la sua avventura. Ho pensato che lo scopo del suo viaggio verso il Meridione potesse essere quello di raggiungere una donna, il suo amore… anche se poi quando, durante i concerti, chiedo al pubblico cosa, secondo loro, potesse spingere un italiano a fare 500 Km in bicicletta, i belgi mi rispondono: la mamma.
Nel tuo disco non si parla davvero di amore, tema ricorrente nella musica popolare…
Ci sono racconti che parlano di amore tra genitori e figli come in Ninna Nanna alla fine della guerra. Ma se ti riferisci all’amore di coppia è vero, ho avuto paura di affrontare il tema perché la canzone popolare ne parla frequentemente e spesso banalizzandolo. E’ difficile trattare di amore senza farlo diventare un cliché e io, per il momento, non mi sento ancora pronto, tanto più che quello che mi riguarda e di cui potrei parlare è un amore più maturo e consapevole rispetto alle infatuazioni adolescenziali raccontate in molte canzonette.
Colpo di Sole: un disco fatto di parole, musiche popolari e note Jazz… si direbbe che in te conviva un’anima eclettica. C’è una tradizione alla quale ti senti di appartenere?
Durante gli anni dell’adolescenza ho ascoltato tanti cantautori poi c’è stato un gap lungo quindici anni e sono passato al Jazz che ho studiato al Conservatorio qui a Bruxelles. Riferimenti inconsci per De André, De Gregori e altri maestri della canzone d’autore italiana non posso non emergere dalle mie note, poiché hanno accompagnato la mia crescita umana e artistica. Ho anche cercato di scrivere parole con ballate acustiche, ma per fortuna dal disco non emerge un chiaro riferimento al loro stile perché se ci fosse sarebbe una negazione della mia identità. Miles Davis diceva: per crearsi un’ identità bisogna copiare un po’ qua e un po’ là, non imitare nessuno in particolare. De André e De Gregori mi piacciono. E poi Paul Simon, il folk americano, Jacques Brel: di ognuno cerco un aspetto, un riflesso che faccio mio, ad esempio per Brel è l’energia con la quale affrontava ogni concerto. Ma l’ultima cosa che voglio è somigliargli.
In Colpo di Sole vi sono, poi, pezzi che si riconducono all’attualità e che parlano di un’Italia in crisi, ma che alla fine “avrà il coraggio di rialzare la testa”.
Quella che racconto in Povera Italia è la storia di molti giovani costretti ad emigrare da un paese “che ha sbandato” e che vivono all’estero, come la numerosa comunità di italiani a Bruxelles, dove vivono e lavorano, ma non smettono di guardare, con un pizzico di nostalgia, all’Italia. Vorrei, però, specificare che anche se si tratta di canzoni costruite su un sentimento diffuso, su discorsi che facciamo tutti, questo brano non è l’elogio della fuga; non consiglio a nessuno di andare via a tutti costi perché non è detto che funzioni. Di sicuro quella di oggi è una crisi non solo economica, ma anche di valori ed è di questo che parlo in Nella vasca degli squali. L’Italia ha risorse incredibili nonostante tutto ciò che hanno fatto i politici per far parlare male dell’Italia.
E tu ti senti un emigrato che ha trovato fortuna altrove?
Non lo so, non riesco a paragonare la mia vita qui con quella che sarebbe potuta essere in Italia, ma di sicuro all’estero ci sono condizioni più favorevoli per gli artisti che mi hanno permesso di restare. Differentemente dall’Italia c’è una maggiore apertura ad ascoltare cose nuove. A Bruxelles e nel Belgio in generale c’è più interesse per le cose nuove e originali; si hanno maggiori chances di essere ascoltati se si è un cantante emergente. Ciò che percepisco in Italia è la difficoltà di raggiungere un audience se non sei già conosciuto.
Bruxelles e il freddo di qui ti hanno ispirato?
Senza Bruxelles non ci sarebbe stata la Povera Italia. Il fatto di stare qui, fuori dal tuo paese, ti costringe a fare i conti con chi sei e da dove vieni, a ricercare la tua identità e le tue radici. In un certo senso bisogna andare via per ritrovarsi.
Loredana Recchia