Con sole 33 sterline (l’equivalente di circa 42 euro) è possibile, in Gran Bretagna, aggiudicarsi il kit per l’autoproduzione di 30 bottiglie di “vino doc” Valpolicella. Nella scatola si trova una bustina di polvere da sciogliere in una bottiglia d’acqua e un sacchettino di trucioli in legno da aggiungere alla fine, se si vuole rendere più gustoso il beverone. Sulla confezione di cartone compare, persino, la scritta ingannevole in italiano “Cantina”.
“Ancora una volta ci troviamo di fronte ad un tentativo di imitazione scorretto e irritante. La vicenda del Valpolicella in busta venduto in Inghilterra ci infastidisce particolarmente perché colpisce uno dei comparti a cui teniamo di più. Ho presentato un’interrogazione alla Commissione perché intervenga immediatamente per bloccare questo tipo di produzione.” Così Elisabetta Gardini interviene a proposito della questione del vino in polvere venduto in Inghilterra e ammonisce: “Quasi quotidianamente ci arrivano, dall’Italia, segnalazioni di casi di contraffazione e concorrenza sleale in ambito agro – alimentare. Alle denunce devono seguire, però, rapidamente controlli e sanzioni. I tempi di reazione sono troppo lunghi e i danni per le nostre produzioni troppo pesanti.” E auspica: “ il rispetto delle regole va imposto con maggiore efficacia agli Stati membri.”
La tutela delle produzioni di qualità è una delle prerogative della Commissione Europea la quale, adesso, dovrà rispondere all’interrogazione sollevata in conseguenza della denuncia da parte dei Presidenti dei Consorzi tutela vini della Valpolicella, Chianti, Barolo e Montepulciano della commercializzazione, in Inghilterra, di un vino in polvere venduto come “pregiato” rosso italiano. Il negoziante britannico intervistato da Jimmy Ghione per Striscia la Notizia, sostiene che sia tutto legale, che il mosto liofilizzato sia vero, anche se realizzato in Svezia e Canada.
Ma Roberto Manfredini, responsabile qualità di Coldiretti, non è d’accordo e parla di un vero e proprio “furto nei confronti del nostro territorio. Il consumatore pensa di trovare la qualità dei nostri vini, e acquista, invece, un prodotto di bassissimo livello e non compra più l’originale. Il fatturato del falso agroalimentare nel mondo ammonta a 50 miliardi di euro. Una cifra sottratta alle nostre aziende“.
Loredana Recchia