La Commissione europea sta per dare una svolta alla sua strategia sul “cloud computing”. È attesa per la prossima settimana la bozza messa a punto dal Commissario per l’Agenda digitale Neelie Kroes. Secondo indiscrezioni il testo riguarderebbe investimenti (pubblici e privati) di 45 miliardi di euro entro il 2020 che genererebbero circa 900 miliardi di Pil e 3,8 milioni di posti di lavoro. O almeno queste sono le promesse (o le speranze) dell’Ue.
La “nuvola informatica” (cloud computing) è una delle ultime frontiere della rete. Si tratta di servizi, solitamente a pagamento, forniti da un provider che permettono agli utenti (singoli, aziende o istituzioni) di conservare i propri dati informatici non sul proprio computer ma su un server esterno. Ad esempio gli utenti di Gmail, la posta elettronica di Google, possono conservare gratuitamente oltre un Gb di memoria mail nei server dell’azienda fondata da Larry Page e Sergey Brin e utilizzare online tutta una serie di servizi aggiuntivi, da YouTube, ai documenti condivisi, al calendario etc. Addirittura adesso grazie al cloud computing è possibile utilizzare programmi senza neanche doverli installare sul proprio computer ma appoggiandosi, anche in questo caso, ai server forniti dai vari internet provider. Soprattutto per le pubbliche amministrazioni questo dovrebbe poter dire un enorme risparmio in termini di memorie non utilizzate, software non acquistati e energia non utilizzata (un computer che utilizza soltanto il browser è un computer che consuma poco).
Secondo uno studio dell’istituto danese “Copenhagen Economics” pubblicato due settimane fa il risparmio per le PA europee potrebbe essere di 6,5 miliardi l’anno. La sola Italia potrebbe risparmiare ogni anno 0,5 miliardi grazie alla riduzione degli investimenti in conto capitale, delle spese operative e grazie ai tagli alle apparecchiature informatiche e la conseguente riduzione nella spesa per la loro alimentazione. Secondo lo studio si tratterebbe di “un vantaggio per i Paesi fortemente indebitati come l’Italia” perché ad esempio “invece di far investire molti soldi in nuove attrezzature e software a diversi intervalli di tempo, il cloud computing leviga il flusso di cassa in quanto permette agli utenti di acquistare un servizio, che nelle spese è più uniformemente distribuito nel tempo”.
E proprio l’acquisto di questi servizi creerebbe un business enorme in Europa, come già sta succedendo negli Stati Uniti. Il settore cresce in fatti in maniera impressionante: secondo un altro studio condotto dalla società americana di consulenza e ricerca nelle tecnologie dell’informazione Gartner il cloud computing è destinato a crescere del 19,6% per 109 miliardi di dollari entro la fine dell’anno con un guadagno di 84,2 miliardi di dollari previsto per il settore BpaaS (Business Process as a Service, cioè servizi per le aziende). E proprio su questo punto battono i detrattori della “nuvola informatica”. Secondo loro il cloud computing sarebbe rischioso per diverse ragioni: primo perché si affiderebbero dati personali a terzi con un chiaro rischio per la privacy e poi perché questo farebbe arricchire le aziende private dando loro un potere enorme per servizi che (soprattutto per i fautori del software libero) potrebbero essere svolti, seppur non da remoto, anche con programmi open source gratuiti o a bassissimo costo. C’è inoltre un grosso problema giuridico: i server informatici sono di solito distribuiti nelle diverse nazioni del globo e questo fa si che si trovino sotto la giurisdizione di leggi e costituzioni differenti creando ogni volta problemi sul chi è responsabile per quei dati. Se un provider italiano avesse ad esempio i suoi server in Russia sotto quale giurisdizione si troverebbero i dati contenuti in quei computer?
Con tutti questi problemi dovrà confrontarsi la Commissione. L’idea della commissaria Kroes sembra sia quella di spingere le autorità pubbliche a lavorare insieme per creare una sorta di Super-cloud europeo di cui i diversi Stati possano fidarsi e nello stesso tempo lavorare per uniformare la legislazione nei diversi Stati membri. La stessa Ue ha già lanciato un primo software cloud a giugno con il suo progetto Optimis, lanciato nel 2010 e finalmente quest’anno divenuto operativo grazie al lavoro dei partner di ricerca tra cui figurano diverse università e aziende europee come la City University di Londra, l’università Gottfried Wilhelm Leibniz di Hannover e la British Telecom. Il progetto che scadrà nel maggio 2013 è sostenuto da 10,5 milioni di euro a carico del bilancio comunitario. La speranza è che il questo futuro cloud del settore pubblico possa generare un supplemento di 250 miliardi entro il 2020 e un extra di 2,5 milioni di addetti.
Alfonso Bianchi ©Eunews
Per saperne di più:
– A Digital Agenda for Eu http://ec.europa.eu/information_society/digital-agenda/index_en.htm
– Il progetto Optimis http://www.optimis-project.eu/
– Lo studio della Copenhagen Economics sul cloud computing nella Pubblica Amministrazione http://www.copenhageneconomics.com/Website/News/News-archive.aspx?M=News&PID=2169&NewsID=502
– Richard Stallman: “A chi realmente servono i server” http://www.gnu.org/philosophy/who-does-that-server-really-serve.html