Più che una Primavera Araba quella che sta sconvolgendo nord Africa e Medio Oriente potrebbe essere definita una Primavera Curdo-Sciita. Sì perché il movimento che troppo semplicisticamente viene considerato come una spinta alla democratizzazione dell’area è in realtà un fenomeno molto complesso da cui stanno traendo vantaggio i due gruppi. È questa l’analisi di Gökhan Bacik, direttore del centro di ricerca strategica sul Medio Oriente della Zirve University di Gaziantep in Turchia, per l’European Policy Centre (EPC). Il professore ritiene che quella sul se la Primavera porterà più democrazia nell’area è solo una “domanda riduzionista che impedisce di individuare altri importanti sviluppi” soprattutto connessi alla Turchia.
Gli sciiti, minoranza musulmana al potere in Iran e molto forte in Libano ad esempio, hanno preso parte da subito alle manifestazioni e alle rivolte della Arab Spring influenzando così la politica regionale. “Anche il Governo iracheno di Nouri al-Maliki si è recentemente legato al movimento sciita” spiega Bacik e questo determinerà necessariamente un cambiamento nella politica estera della sunnita Turchia. Ankara è stata sempre consapevole della forza di questa fazione dell’islam e finora è sempre stata cauta ad esempio sulla questione nucleare in Iran e sulle competizioni politiche libanesi, ma adesso le cose potrebbero cambiare. “La crescita dell’asse sciita obbligherà la Turchia a trovare strategie alternative” continua lo studioso secondo cui “un possibile scenario è la riconciliazione con i gruppi sunniti (anche i sunniti curdi) in paesi come l’Iraq. Un altro è il consolidamento delle alleanze con nazioni come l’Arabia Saudita o il Qatar”.
Ma non sono solo gli sciiti a preoccupare la Turchia quanto, naturalmente, soprattutto i curdi. Secondo lo studio pubblicato dal think tank infatti i curdi hanno sempre mantenuto una loro indipendenza rispetto alle dinamiche politiche arabe ma dopo aver avuto un ruolo chiave nella rivolta anti-Saddam e ottenuto significativi riconoscimenti in Iraq hanno imparato a trarre vantaggio da queste sommosse e “studiato delle strategie politiche molto più elaborate. E lo stesso sta avvenendo in Siria”. Qui infatti i curdi starebbero mantenendo una posizione bilanciata in attesa che si creino le giuste condizioni per delle loro proprie e autonome rivendicazioni. Per questo, soprattutto per la Turchia, è tempo di capire che “la Primavera Araba ha un forte effetto interno di ‘Primavera Curda’. Turchia, Iraq e Siria si trovano di fronte alla questione curda. Se i curdi infatti si assicurano la possibilità di avere due governi regionali la tradizionale strategia di ‘una soluzione all’interno degli stati nazionali’ potrebbe fallire definitivamente. Prima a dispetto delle loro differenze su altre questioni Turchia, Siria e Iran erano uniti sulla causa curda. Questa coalizione adesso non esiste più”.
Alla Turchia non resta quindi altra alternativa che confrontarsi con questa nuova realtà ed essere capace di affermare una coesistenza pacifica. Ma in ogni caso il suo successo, conclude lo studioso, sarà determinato “solo dalla capacità di Ankara di relazionarsi con le embrionali regioni curde del Medio Oriente”.
Alfonso Bianchi ©Eunews.it