Nel Mediterraneo si sta giocando una partita delicatissima. Da un lato la crisi siriana (armata) e quella egiziana (costituzionale), che sono legate a quella iraniana, dall’altro la crisi algerina, che è legata a quelle in corso nel Mali, nel Sudan, in Somalia e in Nigeria (e quindi ad Al Qaida e al Pakistan e all’Afghanistan, e ai paesi del Golfo – GCC).
La crisi siriana è lo sbocco naturale (preconfezionato) delle presunte rivoluzioni gelsomino che si sono propagate nel Nord Africa nel 2010-2011: restaurare la guerra fredda europea in chiave mediorientale (e nel pacifico in chiave sud asiatica). Per l’Europa, la chiave di lettura è l’Africom dell’esercito USA che è temporaneamente in Germania ma che, liberata la Libia, avrebbe dovuto spostarvi la sua sede. L’Africom ha una valenza geopolitica globale, visto che serve a riequilibrare le rispettive aree di interesse cinesi e americane in Africa. Con buona pace dell’Europa, e in particolar modo di FranceAfrique che ormai non esiste più (sarà interessante vedere se ancora il prossimo 14 luglio la legione straniera sfilerà sui Campi Elisi). Mentre la sesta flotta di stanza a Napoli rientra nelle logistiche operative del trattato della Nato (burden sharing), le basi USA in Sicilia e l’Africom servono solo al gioco globale americano con Russia e Cina. La psyops americana sulle rivoluzioni dei gelsomini (come per quelle colorate nelle aree di influenza russa) insiste che anche in Siria la richiesta popolare sia di un cambio di regime. Gli americani ostentano ignorare che in Siria esisteva da decenni un’importante base militare russa (la più importante nel Mediterraneo, fuori dal Mar Nero) e che circa 100.000 “tecnici” russi sono di stanza nel paese. La Turchia si trova nella sgradevole situazione di dover “obbedire” alle richieste statunitensi, pur temendo le conseguenze che vengono dal fatto che il 70% del gas che transita nei suoi tubi viene direttamente o indirettamente dalla russa Gasprom e che Israele non ha ancora superato lo choc della “Flotilla” (se a questo si aggiunge che la visita di Putin in Israele è stata un grande successo politico e diplomatico, la Turchia è in grave affanno). Mentre nei negoziati di Ginevra si è proposta la mediatica rottura tra USA e Russia sulla Siria, in verità esisterebbe un accordo negoziato ben più segretamente. Vediamo di che si tratta.
Dopo la crisi jugoslava, la crisi siriana, esattamente 20 anni dopo, permette agli USA di mantenere lo statu quo in Europa evitando che si costruisca una qualsivoglia unione politica (o peggio di difesa). L’unica unione europea funzionale agli interessi anglo-americani è quella del mercato (che possibilmente deve fondersi con l’EFTA). Gli aspetti fiscali e monetari sono, come già erano, considerati come un’interferenza nel ruolo egemonico dell’Occidente che spetta di diritto agli USA (e in Europa al Regno Unito). Con la Russia, gli Stati Uniti stanno discutendo da tempo del futuro dell’area artica e euroasiatica (in chiave possibilmente anti cinese). La Russia del rieletto Putin ha alzato il prezzo dell’accordo. Dopo aver già dimostrato la sua capacità di azione in Kosovo, in Georgia e in Ukraina, adesso punta dritta allo scambio: Asia centrale contro medio oriente (fatto salvo l’Iran). L’obiettivo russo è di avere il controllo sul 50% delle risorse gasiere mondiali, entro il 2020. D’altra parte, gli USA vogliono mantenere il controllo sulle riserve mediorientali di petrolio (GCC). L’accordo di scambio si potrebbe fare se non fosse per l’interferenza tedesca e italiana negli affari gasieri e petroliferi. In questo, la Francia è relativamente neutrale e più allineata agli USA. Il cambio di regime abilmente costruito dalla perfida Albione in Italia e le pressioni enormi degli americani su Berlino non bastano. Ecco che la guerra “mondiale” nel Mediterraneo serve a questi propositi. L’accordo russo-americano è ai danni dell’Europa in quanto unione.
I giochi degli spread e dei debiti e delle riforme strutturali non stanno dando gli effetti sperati nei tempi (brevi) necessari agli USA. A questo potrà servire l’esplosione dell’Algeria (che avrebbe dovuto tenere elezioni presidenziali nel 2012, proprio 50 anni dopo la sanguinosa indipendenza dalla ottusa Francia di De Gaulle). Sperando che l’Europa non rovini la festa elettorale di Obama (ammesso che non si rovini da solo) con ulteriori crisi finanziarie, la sottomissione dell’Europa all’Occidente americano (non più egemonia ma puro dominio) dovrebbe arrivare nel 2013-2014. Intanto, non si sa mai, si prepara la seconda bomba ad orologeria tramite Mali, Sudan, Somalia e Nigeria. Sulla questione dell’islamismo radicale sono tutti d’accordo (Cina, Russia e USA): si deve combattere, vincendo.
In Mali, come in Nigeria, Sudan e Somalia, si sono instaurati gruppi qadisti importanti che controllano territori e risorse. E pensare che l’UE parlava della rivolta dei Tuareg in Mali (poveri illusi!). L’asse tra le forze islamiste di questi quattro paesi e la Libia (liberata!) è cosa già fatta. L’Algeria, il paese più serio del Nord Africa, ancora non è entrato nella guerra islamica. Tuttavia, non possiamo ignorare che l’attuale governo e il presidente sono in fine corsa e che già 20 anni fa l’Algeria ha vissuto una guerra civile islamista (anche se a quel tempo gli islamisti erano foraggiati dalle corporation americane del petrolio e del gas).
Se il Mediterraneo esploderà sarà colpa dell’Europa che è stata incapace di offrire un quadro di adesione economica e sociale adeguato (la ridicola politica di vicinato ne è un esempio; l’insulsa politica sull’emigrazione ne è un altro; l’opposizione all’ingresso della Turchia è il terzo; ecc…). Il risultato netto sarà la fine dell’Unione europea (dove non arrivano gli spread arriva Allah). Quanto all’Italia, la situazione di approvvigionamento energetico si farà estremamente critica, con evidenti e prevedibili fortissime ripercussioni sociali ed economiche.
Paolo Raffone