L’Italia riparte! Sì, l’Italia delle forti braccia, buone per ogni lavoro pesante, alle volte ingrato, spesso difficile, è ripartita, forse non in treno come una volta, ma è ripartita. Altro che la fuga dei cervelli, quelli da tempo hanno smesso di “fuggire”, oramai escono ordinatamente, senza nessuna ansia. No, ora ripartono i “lavoratori”, quelli col fazzoletto attorno al collo per fermare il sudore, quelli che non hanno scelta.
C’era un bimbo a Bruxelles questa mattina, in un parco giochi nel mezzo di uno dei quartieri della capitale dove i belgi sono oramai una minoranza circondata da uomini e donne di ogni dove che lavorano nella galassia delle Istituzioni comunitarie: funzionari, giornalisti, analisti, lobbisti, tutta gente che è qui con ottimi titoli di studio, che ha vinto selezioni dure, che ama l’Europa o semplicemente vuole guadagnare di più che a casa sua.
C’era stamane un bimbo, solo soletto in quel parco giochi, ha una decina d’anni, è italiano e pian piano attira l’attenzione di una famiglia di altri italiani con un figlio della sua età. Ha l’aria vispa, allegra, forse si sente un po’ solo, “sono qui da tre mesi” spiega dopo essersi imposto con un sorriso allo sguardo dei genitori. Altri dieci secondi di colloquio poi i due bambini partono, palla al piede. Niente di più facile, niente di più bello. Sembrano conoscersi da sempre, è un piacere guardarli. Poi è il momento del commiato, altre due chiacchiere, e viene fuori che il padre del bimbo intraprendente non lavora per le Istituzioni, non è un consulente. E’ un operaio, un “pittore che lavora dentro le case, fa i muri con il rullo”, come dice il figlio. “Siamo venuti qui perché in Italia non c’è lavoro, non c’è futuro”, spiega il ragazzino mentre tira la palla contro un muro. “Ma rivenite nel pomeriggio?”, certo che “riveniamo”, ma non avremmo mai voluto che tu fossi qui, non per questi motivi che ti sono già troppo chiari, troppo presto, troppo veri. Tu che pensi ancora troppo a Francesco Totti.