Parigi – I più cinici si domandano quanto durerà ancora il matrimonio tra Nicolas Sarkozy e Carla Bruni quando i due, tra qualche settimana, dovranno traslocare dall’Eliseo. Oramai in Francia nessuno crede più alla possibilità di una conferma per il presidente uscente, e tutti si preparano a convivere con quest’uomo dall’aria modesta, François Hollande, che nasconde una volontà di ferro e che dice cose semplici che ognuno può capire.
La campagna elettorale continua, ma in realtà è già finita. Sarkozy non si è mai schiodato dal 25% delle preferenze che aveva all’inizio di questa corsa, sei mesi fa. E’ arrivato al 27, per qualcuno al 29, ma gli ultimi sondaggi lo hanno ricacciato in basso. Non è che Hollande voli su cifre molto più alte, è tra il 27 e il 29, forse il 30, ma è sempre stato sopra al presidente e negli ultimi giorni sta guadagnando anche qualche voto della frastagliata sinistra d’oltralpe, mentre Sarkozy perde a favore della leader estremista di destra Marine le Pen. Domenica prossima i due dovrebbero dunque qualificarsi per il secondo turno restando entrambi su quotazioni modeste. Poi, il 6 maggio, lo scontro finale. Non ci si aspettano sorprese come nel 2002, quando Jean-Marie Le Pen superò il socialista Lionel Jospin e passò al secondo turno. In questa seconda domenica elettorale i candidati saranno solo due, e dunque le percentuali saranno più alte, come anche il distacco. Tutti i centri di rilevazione danno Hollande in testa, con un vantaggio che varia dai 6 ai 16 punti, un valore umiliante per Sarkozy.
Hollande è un po’ un diesel, forse simile al nostro Romano Prodi. Non era nella rosa dei candidabili, non era neanche più il leader del Partito socialista, sembrava un ometto (per la sua modesta statura) destinato all’oblio, anche perché da segretario, aveva perso ben due elezioni presidenziali, quella in cui candidò Jospin, nel 2002 e quella in cui la candidata era l’ex moglie e madre dei sui quattro figli, Ségolène Royal, nel 2007, quando fu eletto Sarkozy. La vita affettiva e sessuale dei francesi è però piena di sorprese, e l’uomo che nel suo inevitabile destino aveva l’Eliseo, Dominique Strauss Kahn, crollò in una giornata, travolto da uno scandalo sessuale negli Stati Uniti, che forse era un complotto, forse no, ma che servì a umiliare pubblicamente il più credibile antagonista di Sarkozy e a rivelarne al mondo le debolezze sessuali. I socialisti francesi erano persi, organizzarono le primarie senza Dsk e non sapevano bene chi metterci. Entrò anche Hollande, con la leader del partito Martine Aubry e la sua ex moglie. Le stracciò tutte e si ritrovò ad essere “il candidato senza carisma”, che però tra qualche settimana sarà presidente della Francia.
Con il tempo e la pazienza il candidato triste ha conquistato la fiducia di molti. Tra i piccoli imprenditori c’è molta fiducia, ed anche la grande industria, tradizionalmente vicina alla destra, lo studia da vicino e la presidente della Confindustria francese vuole incontrarlo, dopo il primo turno. Anche molti elettori dell’articolata sinistra, a sinistra dei socialisti, stanno avvicinandosi a quest’uomo che fa mostra di realismo. “Capisco la rabbia e l’esclusione, ma devo tradurre questi sentimenti in governo”, questa è la sua frase chiave, che è stata capace di avvicinargli la fiducia di qualcuno di coloro più a sinistra del partito socialista.
Si batte contro il Fondo monetario internazionale, contro i governi europei che impongono austerità e non favoriscono la crescita. Seguirà strade diverse per rilanciare la Francia, e non solo. Gli hanno chiesto se pensa si avere una bacchetta magica: “Cos’è la bacchetta magica? Si chiama un voto dei francesi che mi consentirebbe di trascinare l’Europa”. Perché Hollande lo sa che se vincerà vorrà dire che si sta aprendo una nuova stagione in Francia e in Europa, meno legata, almeno in teoria, allo strapotere delle banche del Fondo monetario e della Germania. “Ho incontrato parecchi capi di Stato europei. Non ce ne sono molti soddisfatti dalla situazione economica. Non sono isolato”, ha detto ieri, confermando che il Patto di Bilancio, il “Fiscal compact” lui non lo ratificherà, a meno che non venga integrato da vere misure per la crescita e l’occupazione.