Heverlee (Belgio) – Fa caldo, ci sono venti gradi, che per il Belgio è una rara e piacevole sensazione. C’è il sole che picchia nel grande cortile della suola di Heverlee, i bimbi corrono, gridano, giocano. Potrebbe sembrare una giornata felice, se non fosse per il cordone di polizia davanti all’ingresso e i fiori e pupazzi stesi sul marciapiede fanno capire che qualcosa di enorme è successo.
Sono molti i disegni dei bimbi affissi sul muro della scuola, e sul cancello principale, che sembra chiuso per sempre. Quei disegni, se non si legge quel che c’è scritto, trasmettono gioia, sono allegri, colorati. Poi si traduce. Ed è impossibile tenere gli occhi asciutti anche se si è lì davanti solo per raccontare. Perché di curiosi non ce ne sono, ci sono solo i giornalisti. Il dolore la città lo tiene per se, e lo protegge. Qualche ex allievo, qualche amico, arriva di corsa e lascia un fiore, guarda i giornalisti e scappa via. Qualcuno, troppo piccino per farcela da solo, esce dalla suola con il papà e si fa aiutare ad attaccare il suo disegno lì in alto, dove ancora c’è un poco di spazio. Come si sarà fatto aiutare il figlio del maestro Frank, che ne ha fatti due di disegni con scritto grande grande “Papa”, una volta in rosso, un’altra in verde chiaro. Con una manina ancora incerta ha scritto anche “sei il migliore, e resterai il migliore”. Frank Van Kerckhove è morto in quell’autobus con i “suoi” bambini. I bambini della Sesta A, che altri cartelli ricordano come “la migliore”, “la più fica”. Ma la Sesta A non c’è più, non ci sono più otto dei suoi ventiquattro alunni e non c’è più l’anima di questa classe, Frank, che in un disegno un bimbo fa uscire dal tetto della scuola e volare verso il cielo azzurro: “Sei diventato un angelo”, scrive con un amore che traspare dai colori accesi.
C’è un bel sole anche al parco giochi lì accanto, dietro la chiesa di Saint Lambertus. Si riempie presto di bimbi, che corrono, giocano, si azzuffano e ridono, come devono fare tutti i bambini. I genitori sono tanti, raccolti in capannelli. Tra loro qualche psicologo della scuola. Ma nel prato mancano i bimbi più grandi, quelli di quinta e di sesta, forse anche quelli di quarta. Quelli che “sanno”, che hanno capito. I genitori evitano lo sguardo dei giornalisti e la polizia presidia il dolore, non fa avvicinare, evita il più possibile che si facciano foto o si accendano telecamere troppo vicino a queste famiglie.
C’è riservatezza nel dolore ma lo strazio è condiviso, se ne fanno carico i conoscenti e le autorità. La scuola da mercoledì mattina è piena di psicologi e assistenti sociali. E’ stata anche creata la “Stanza del silenzio”. Quando un bimbo in aula mostra tristezza, o magari piange “l’insegnante gli offre di andare nella stanza del silenzio – spiega Stefan Tanghe, direttore del distretto scolastico – e lì trova qualcuno pronto a parlare con lui, oppure a tacere stringendogli la mano. Può anche sedersi in un cantuccio a piangere e sfogarsi da solo”. Ci sono sedie, candele, ed anche una radio, se qualcuno ha bisogno di sentire della musica. “Ci sono anche dei giocattoli scelti per la loro caratteristica di far liberare i pensieri di morte, che aiutano a parlare per iniziare ad elaborare una perdita”, dice ancora Tanghe.
Lo stazio di qualche famiglia, poi, non è ancora finito. Fino a ieri sera due o tre bambini non erano ancora stati identificati. Le mamme e i papà non avevano ancora un corpicino su cui piangere. E’ stato necessario chiamare dei medici legali, dal Belgio. Tanto è stato devastante l’urto che neanche una mamma è in grado di riconoscere il proprio figlio.
Dietro al cancello e sul prato i più piccini continuano a giocare.