Bruxelles – I due marò italiani in carcere in India non possono aspettarsi a breve un cambiamento della loro situazione. Il governo italiano può fare poco ed anche l’Unione europea non sembra essere nelle condizioni di realizzare interventi significativi. Nella giornata di ieri il presidente del Consiglio Mario Monti ha lungamente incontrato a Bruxelles il capo della diplomazia europea, Catherine Ashton, e il ministro degli Esteri Giulio Terzi ha riferito sulla questione davanti al Senato, a Roma.
La questione è talmente pasticciata che Ashton non ha nemmeno chiaro che i due italiani arrestati in India sono militari ed anche due pubblici ufficiali. Al termine dell’incontro con Monti, come tradizione, dagli uffici della baronessa britannica è stato diffuso un comunicato che rendeva conto ai giornalisti del colloquio. Nel testo si parlava di personale di “sicurezza privata” a bordo delle navi mercantili. Ad una domanda al proposito la portavoce di Ashton ha mostrato imbarazzo davanti alla sala stampa di Bruxelles, fornendo una generica risposta sulla necessità di definire nuove regole sulla presenza di personale a difesa delle navi a rischio pirateria. Nel palazzo del Consiglio europeo, dove Monti aveva incontrato Ashton e dove il premier ancora era presente per partecipare all’Ecofin, la questione ha agitato le acque, al punto che la presidenza del Consiglio, in tutta fretta, ha messo a punto un comunicato quasi identico a quello di Ashton, dove però si precisava che le nuove regole devono riguardare “la presenza di personale delle forze armate a bordo di navi mercantili”. Un paio d’ore dopo anche il comunicato della baronessa veniva “aggiornato”, mettendo una toppa sull’infelice frase.
Per il resto dall’incontro è solo uscito che l’Alto rappresentante per la politica estera “ha riferito” sui contatti avuti con le autorità indiane e “si è impegnata a intraprendere ogni ulteriore passo per una soluzione positiva”. C’è molta prudenza a Bruxelles, anche perché, come spiega una fonte del Consiglio, “l’Ue ha più bisogno dell’India che il contrario”, e quindi si cammina con i piedi di piombo. Quello che è risultato evidente in tutta la vicenda è una approssimazione nell’approccio all’intervento antipirateria, sia a livello europeo sia a livello italiano. Se Ashton “sottolinea la necessità di inserire questo incidente (sic) nel più ampio contesto della cooperazione internazionale anti-pirateria e più specificamente del tema della regolazione della protezione a bordo delle navi”, che evidentemente ha delle lacune, dal lato italiano manca chiarezza sulle regole stabilite a cura dell’allora ministro della Difesa Ignazio La Russa sulla presenza di militari sulle navi mercantili italiane. Terzi ha spiegato al senato di “non avere titolo né autorità per modificare la decisione del comandante”, di portare la Enrica Lexie dalle acque internazionali ad un porto indiano. I militari italiani, investiti del ruolo di pubblici ufficiali secondo la convenzione stabilita tra Difesa ed armatori, sembrano dunque sottoposti all’autorità di un privato (l’armatore della nave) e non a quella dello Stato. “C’è un problema nella catena di comando italiana, bisognerebbe conoscere il testo della convenzione”, osserva un esperto di questioni internazionali a Bruxelles.
Ora Massimiliano Latorre e Salvatore Girone non possono far altro che aspettare tempi migliori, che passino le elezioni nello stato indiano del Kerala e che le acque si calmino. “Un eccesso di muscolarità adesso sarebbe pericoloso, è meglio far decantare la questione. In questo Ashton non sbaglia”, spiega un esperto di cose indiane. Vuol dire settimane, forse mesi, nella speranza che l’esame balistico dimostri che non sono state le armi italiane ad uccidere i due pescatori indiani.