Bruxelles – Quasi un primo vertice del “dopo-crisi”. Dopo almeno due anni ieri a Bruxelles si è concluso un Consiglio europeo non all’insegna dell’emergenza finanziaria. Otto ore di lavoro distribuite su due giorni, niente notti in bianco, niente attese spasmodiche di notizie da prima pagina, nessun litigio apparente. “Fa piacere – ha spiegato Mario Monti durante la conferenza stampa finale – che per la prima volta da due anni in qua il Consiglio europeo non è stato dominato dalla crisi finanziaria ma finalmente è stato dedicato alla crescita e all’occupazione”.
Sotto la cenere però la brace arde ancora. Non tutte le caselle sono andate al loro posto, e secondo qualcuno, i Socialisti europei ad esempio, “è stato fatto troppo poco”. Alcuni punti importanti sono stati fissati. Con la firma del Fiscal compact, che ora dovrà essere ratificato dai Parlamenti nazionali e da almeno un referendum, in Irlanda, si è politicamente blindata, dopo aver usato anche lo strumento legale, la politica di bilancio dei 25, in questo caso, dato che Gran Bretagna e Repubblica ceca si sono chiamate fuori. Forte sarà il controllo comune sui conti pubblici e sulle politiche nazionali per la crescita, che vanno ancora in buona parte definite, ma senza le quali non c’è politica di bilancio che regga. Su questo secondo punto è intervenuto il lavoro del Consiglio, che nelle sue conclusioni stabilisce alcuni importanti interventi in materia di lotta alla disoccupazione con politiche mirate al raggiungimento di un 75% di occupazione entro il 2020, di contrasto all’evasione fiscale, per il lancio di quell’embrione degli eurobond che sono i project bond. “Nell’Ue – ha sottolineato Monti -, si avvia un ‘Economic compact’, un patto economico a beneficio dei cittadini che va apprezzato dal punto di vista del pragmatismo”. Nelle conclusioni scritte dai Ventisette “rispetto al passato ci sono meno enunciazioni generali e più obiettivi precisi, con indicazioni di strumenti e date” di verifica degli impegni assunti, ha sottolineato il premier.
Se da un lato si sta per chiudere la lacerante operazione di salvataggio della Grecia, che dovrebbe vedere il via libero definitivo il 9 o al massimo il 12 marzo, altre ragioni di tensione sono alle porte con la Spagna. Nella notte tra giovedì e venerdì c’è stato un duro braccio di ferro tra il premier di Madrid Mariano Rajoy, che chiedeva un allentamento dell’obiettivo del 4,4% del rapporto tra deficit e pil per quest’anno, e i partner che glielo negavano. Nel documento finale è stato scritto che i paesi devono garantire il rispetto degli impegni di bilancio, per rafforzare il “no” ad ammorbidimenti. Ieri Rajoy ha insistito che l’obiettivo di deficit/pil quest’anno sarà del 5,8% a causa della recessione: “Sono obbligato, è una decisione che prendono gli spagnoli”. Bruxelles non potrà accettarla e il confronto andrà avanti almeno fino alle elezioni locali in Andalusia, il 25. Poi forse Rajoy accetterà di piegarsi, come tutti gli altri, agli obiettivi stabiliti. Non è solo una questione di principio e di equità: dall’andamento di questa partita dipende la disponibilità tedesca ad aumentare la dotazione del fondo salvastati Esm, che Berlino sembra orientata a concedere solo se sarà ragionevolmente chiaro che il giorno dopo non verrà “svuotato” per aiutare qualche paese indisciplinato.
La cancelliera Angela Merkel continua a battere sul tasto dell’emergenza. Se il Consiglio dice che “le misure prese stanno dando i loro frutti” e Mario Draghi sostiene che “la situazione è molto, molto meglio di alcuni mesi fa ma resta fragile”, la tedesca insiste su quest’ultimo punto: “La situazione resta molto fragile, non siamo ancora fuori dal tunnel, ci sono ancora molti passi da fare, è sbagliato dire che la situazione non è più allarmante”, ha detto ieri. Lo spirito di Monti è diverso, è “molto soddisfatto” di come siano state accolte le proposte avanzate dall’Italia, insieme a Gran Bretagna e Olanda, con una lettera firmata da 12 Stati membri che “ha ispirato gran parte della discussione al Consiglio. Ci eravamo dati degli obiettivi assumendo un ruolo attivo, anche per acquisire il consenso di diversi Stati membri”. C’è riuscito.
Questo Consiglio ha anche sancito l’attesa uscita di scena come presidente dell’Eurogruppo, dopo sette anni, del premier lussemburghese Jean-Claude Junker. Non si candiderà ad una rielezione a giugno. “Il lavoro che ha svolto in questi anni di crisi è stato esemplare – ha commentato Merkel -. Ora Herman Van Rompuy deve consultarsi con gli stati membri e vedere chi presenterà una candidatura”.