Bruxelles – La Commissione europea ha detto “no” alla nascita del più grande gruppo borsistico mondiale, al quale avevano dato vita la Borsa di Francoforte e quella di New York. Londra (che fa parte dello stesso gruppo della Borsa di Milano) riesce a stoppare un pericoloso concorrente. Come anticipato alcuni giorni fa dal nostro giornale, il commissario alla Concorrenza Joaquin Almunia ha deciso che la concentrazione avrebbe occupato troppo spazio nel mercato dei derivati (il gruppo, ne controlla il 90%) e non ha accettato nessuna proposta di mediazione venuta dai due partner. I manager “bocciati” già hanno annunciato che questo è solo il primo round, e stanno studiando la possibilità di un ricorso al Tribunale europeo.
E’ la terza volta che Francoforte non riesce a spiccare il salto, dopo il fallimento della fusione con la Borsa di Londra alcuni anni fa e poi con Euronext. Quest’ultimo tentativo era nato nel febbraio del 2011, ed aveva avuto il via libera negli Stati Uniti. Oltre alle due piazze principali, avrebbe portato con se anche quelli di Parigi, Amsterdam, Bruxelles e Lisbona. Troppo, secondo Almunia, il quale, raccontano nei suoi uffici, “ha deciso quasi subito che la fusione non si poteva fare, poi abbiamo lavorato due mesi fino a notte per dimostrarlo”. Era un affare da 17 miliardi di dollari, e il lavoro è stato duro, dato che sono stati consultati 700 operatori. La decisione non è piaciuta però al commissario al Mercato interno, il francese Michel Barnier, che si è battuto fino all’ultimo per approvare la fusione, che giudicava una grande possibilità di sviluppo per il mercato europeo (e anche per quello di Parigi in particolare, probabilmente). Alla fine è stato sconfitto, ma si è evitato il voto nel collegio dei commissari, perché anche un altro membro sembra si sia schierato sulle posizioni di Barnier. La decisione è dunque giunta “per consenso”, cioè per accordo, ma senza conta.
“Sarebbe nato un quasi-monopolio nell’area dei derivati, cuore del sistema finanziario, ed è cruciale che resti aperto alla concorrenza. Abbiamo cercato una soluzione di compromesso, ma i rimedi offerti non hanno fugato i nostri dubbi”, ha spiegato Almunia. Inoltre, ha aggiunto, “la fusione avrebbe eliminato la concorrenza globale e creato un quasi-monopolio in numerosi campi, portando ad un danno significativo per chi commercia in derivati e all’economia europea in generale. La Commissione non è contro i campioni, se questi non vengono creati eliminando l’unico concorrente”. Il commissario ha anche tenuto a sottolineare che la scelta “non è legata a misure difesa dell’euro o di bandiere, ma è questione di accettare o meno che nasca una posizione di ‘quasi monopolio’ nel mercato delle transazioni dei derivati basati su attivi finanziari europei”. Alla Borsa di Francoforte qualcuno si è sentito sollevato, in particolare il personale, che temeva sommovimenti a favore degli statunitensi. Anche il titolo di Deutsche Boerse ha accolto positivamente la cosa, con un rialzo dell’1%. Molto deluso il presidente di Nyse Euronext Jan-Michiel Hessels, secondo il quale il “no” all’operazione “è un’occasione mancata per la connessione del mercato dei capitali europeo con i mercati finanziari asiatici”. Per Reto Francioni, lo svizzero che presiede Deutsche Boerse ieri è stato “un giorno nero per l’Europa e per la sua competitività sui mercati finanziari. Si impedisce la creazione di una piazza europea con competitiva globale”.
Il governo tedesco attraverso il suo portavoce Steffen Seibert freddamente dice che “rispetta la decisione della Commissione europea”, ma aggiunge che “e’ attento agli ulteriori sviluppi anche per quanto riguarda gli interessi finanziari della città di Francoforte”. Per Berlino si tratta di una grande delusione, con questa operazione si sperava di poter raggiungere anche sul mercato finanziario una posizione di player mondiale in competizione con Londra (che, a proposito di mercati asiatici, aprirà una piazza di contrattazione in valuta cinese), per fare da volano all’economia tedesca. Da Londra infatti si guardava con terrore a questa operazione, che rischiava di ridimensionare in maniera significativa il ruolo della City.
Da Il secolo XIX di oggi