Barroso e Tajani presentano una comunicazione, non ci sono novità rispetto alle precedenti strategie. Il Presidente: “Ma adesso abbiamo più strumenti per riuscire a metterla in pratica”
Soldi freschi non ce ne sono, misure nuove nemmeno. La comunicazione della Commissione europea per il rilancio del comparto industriale, presentata in pompa magna dal Presidente José Manuel Barroso in persona, delude le aspettative: a dispetto del nome del testo, indubbiamente incisivo (si chiama “comunicazione per la rinascita industriale europea”), all’atto pratico si fa fatica a capire cosa Bruxelles potrà fare per un comparto ritenuto strategico ma colpito, come tutti i settori dell’economia, dalla crisi. Va precisata un cosa: la comunicazione, per natura, è l’atto comunitario meno forte. Non fissa obiettivi vincolanti come una direttiva, né procedure rigide da seguire come invece fanno i regolamenti. La comunicazione si limita a fornire indicazioni sulle azioni che a detta della Commissione si rendono necessarie per far fronte a un problema. La palla passa quindi ai Paesi membri, sulla base dei suggerimenti contenuti nella comunicazione. Anche perché, anche questo va ricordato, la politica industriale è materia di competenza esclusiva degli Stati. Va tenuto a mente questo, per leggere meglio un provvedimento atteso da molti.
Non c’è dubbio che l’iniziativa dell’esecutivo di Bruxelles si rende necessaria. “Il comparto industriale dell’Unione europea ha dato prova di resistenza di fronte alla crisi, ma nonostante ciò dal 2008 a oggi con la crisi sono stati brucati 3,5 milioni di posti di lavoro in tutta l’Ue”, rileva Antonio Tajani, vicepresidente della Commissione e responsabile per l’Industria. Contestualmente “il settore manifatturiero ha conosciuto una flessione arrivando a rappresentare il 15,1% del Pil dell’Ue, lo 0,3% in meno rispetto ai livelli di sei anni fa”. Oggi, dunque, “l’Europa è ancora lontana dall’obiettivo del 20% di Pil generato dal solo comparto industriale”. In ragione di ciò la competitività industriale “deve essere al centro dell’agenda politica del vertice del Consiglio europeo di marzo”.
La comunicazione individua perciò sette campi d’azione ritenuti prioritari: politiche di sostegno allo sviluppo dell’industria, accesso alle risorse finanziarie, miglioramento dell’area economica, accesso più agevole agli strumenti produttivi sensibili, massimizzazione del potenziale del mercato interno, internazionalizzazione delle industrie europee, e miglioramento del sistema di formazione professionale. Nulla di nuovo: tra anticipazioni nei mesi scorsi e ricette usate già per altre strategie (come quella per l’acciaio, lanciata sempre da Tajani), sul piatto finiscono indicazioni rispolverate per l’occasione. Più in dettaglio, si suggerisce di dar vita a un maggior coordinamento tra i livelli di politica industriale regionale, nazionale e comunitario. Quanto al secondo punto, c’è da garantire il pieno accesso ai 100 miliardi messi a disposizione dall’Ue con il programma settennale, e utilizzare al meglio gli 80 miliardi del programma quadro di ricerca ‘Horizon 2020’. La novità di oggi sta in queste cifre: per la prima volta la Commissione sa quanto c’è sul piatto, dato che l’accordo sul quadro finanziario pluriennale è bello che fatto (e da tempo). Sul fronte di un miglior contesto operativo, bisogna lavorare alla rimozione delle barriere esistenti per le piccole e medie imprese. Questo implica semplificazioni, agevolazioni. Altri concetti non proprio nuovissimi. Ma la Commissione si impegna a elaborare nuove proposte legislative per permettere l’avvio di imprese in tre giorni al costo di 100 euro (rispetto a una media europea di 375 euro di spese per avvio d’attività e 5 giorni). L’esecutivo comunitario preparerà inoltre un documento contenente i suggerimenti per le pubbliche amministrazioni al fine di aiutare le imprese. Vanno poi risolti i problemi di accesso ai mercati energetico, di capitali e delle materie prime. Quanto al mercato unico, si invitano gli Stati membri a completarlo. Inviti che in Europa si trascinano da decenni, da quando cioè si iniziò a parlare di mercato unico. Inoltre si invita a sviluppare il mercato delle telecomunicazioni. Vale la stessa considerazione. Internazionalizzazione delle imprese, poi, significa penetrazione nei mercati dei paesi extra-comunitari. La Commissione suggerisce di rivolgere l’attenzione ai Paesi terzi. Si continua, insomma, con l’impostazione ormai ‘classica’ della Commissione Barroso secondo cui alla crisi dei consumi si risponde con lo stimolo delle esportazioni.
Il problema della comunicazione sta nell’assenza di suggerimenti nuovi. Barroso respinge però le critiche: la natura esclusivamente nazionale della materia non permette molti margini di manovra a Bruxelles, ma l’Unione europea è più forte che in passato. “Le lacune sono state corrette con la riforma della governance economica europea. Gli obiettivi economici ora si trovano nel semestre europeo, dove vi rientrano anche gli obiettivi industriali”. C’è una dimensione più europea, dunque, rispetto al passato. E in prospettiva potrà essere anche maggiore. Rispondendo a chi chiede se si vogliono modificare i trattati per fare della politica industriale materia quanto meno concorrente (gestita dall’Ue e dagli Stati membri) e avere così un’armonizzazione delle regole, Barroso risponde con un “ni”. “Non parlerei di un nuovo trattato, ma di nuove idee per rafforzare la governance economica”. In attesa delle idee nuove, i Paesi membri si beccano quelle vecchie.
Renato Giannetti