Nuovi eurodeputati, nuovo presidente della Commissione e nuovi commissari, nuovo presidente del Consiglio europeo e nuovo Alto rappresentante per la Politica estera più altre centinaia di cariche accessorie, istituzionali e non
Quale sarà la sorpresa nel cappello europeo? Quest’anno tra Bruxelles e Strasburgo cambierà quasi tutto, ci saranno nuovi eurodeputati, un nuovo presidente della Commissione e nuovi commissari, un nuovo presidente del Consiglio europeo e un nuovo Alto rappresentante per la Politica estera più altre centinaia di cariche accessorie, istituzionali e non. Tutto questo accadrà tra la presidenza di turno greca e (soprattutto) quella italiana del secondo semestre. Un bailamme incredibile dunque, per il governo dell’Unione europea nei prossimi cinque anni.
Da tempo nei corridoi di Bruxelles e nelle Cancelleria dei Ventotto si lavora a queste successioni, si cerca di pilotare il più possibile verso nomi graditi, si scelgono, al proprio interno, candidati alle elezioni e il candidati commissario e si tenta di influire il più possibile sulle cariche “comuni”.
Il Parlamento con le elezioni in programma tra il 22 e il 25 maggio sarà il primo a cambiare, con 751 deputati in gran parte vecchi (in Germania i liberali, visto come andavano male le cose per loro, già lo scorso anno hanno fatto togliere la soglia di sbarramento per poter tornare, almeno, in questo Parlamento), ci si aspetta, ma con un sostanzioso rinnovamento. In particolare si attende di capire quanti e di che qualità saranno gli euroscettici e quelli proprio nemici dell’Unione e dell’euro. I deputati attuali non fanno mostra di temere questo esercito, “sono molto divisi tra loro, non hanno riferimenti unitari europei – spiega un deputato di un partito europeista -, faranno cagnara, ma non influiranno sul lavoro del Parlamento”. Come ha spiegato l’eurodeputato leghista (torneranno?) Francesco Enrico Speroni al sito settimanale tedesco Der Spiegel: “Nel prossimo Parlamento l’opposizione sarà più numerosa, ma comunque non accadrà molto: non avremo i voti per cambiare la direzione dell’Unione europea”. Per molti, un messaggio tranquillizzante. Si dovrà comunque scegliere un presidente per questo Parlamento, o due, se resterà in piedi la pratica dell’accordo spartitorio tra popolari e socialisti, in base al quale ci si divide il vertice due anni e mezzo a testa.
Questa volta però potrebbe essere più difficile, se i deputati riusciranno a imporre quanto deciso nell’ultimo anno, per cui il presidente della Commissione sarà indicato dai partiti direttamente agli elettori, imponendo così la scelta ai Governi (che comunque ne restano titolari, pur se è necessario un voto di fiducia del Parlamento), ma creando probabilmente una inevitabile (e sana) divisione tra maggioranza e opposizione nell’eurocamera. Alcune famiglie europee hanno già indicato il loro candidato: i socialisti e socialdemocratici hanno Martin Schulz, attuale presidente del Parlamento, la sinistra ha Alexis Tsipras, leader del partito greco Syriza, i liberali sceglieranno il primo febbraio tra il belga Guy Verhofstadt e il finlandese Olli Rehn, il primo ex premier e attuale capogruppo parlamentare Alde e il secondo commissario europeo agli Affari economici, che sono stati sempre su sponde opposte nella battaglia contro la crisi, lontani più di quanto un solo partito dovrebbe consentire. I verdi stanno svolgendo le loro primarie tra quattro candidati (tra loro c’è l’italiana Monica Frassoni), mentre i popolari sceglieranno all’inizio di marzo. Tra loro i più quotati al momento sono l’ex premier lussemburghese Jean-Claude Juncker e il commissario francese al Mercato interno Michel Barnier. Ma si tengono pronti anche altri leader, come l’irlandese Enda Kenny, il filnandese Jyrki Katainen e il polacco Donald Tusk. I popolari furono i primi a lanciare questa idea del candidato unico, ma sono quelli più impacciati nello sceglierlo. Certo è che Josè Manuel Barroso, che scadrà il 31 ottobre e che pure, mesi fa, avanzò la sua candidatura per un terzo mandato, non è neppure preso in considerazione.
Poi il 30 novembre terminerà anche il secondo mandato (di due anni e mezzo) di Herman van Rompuy, presidente del Consiglio europeo. Su questa scelta il Parlamento non ha poteri, ma non potrà esser fatta dai governi senza considerare l’equilibrio complessivo. I candidati, più o meno, sono gli stessi che per la Commissione, con però una netta tendenza a scegliere un popolare, dato che la larghissima maggioranza dei governi europei è a guida popolare. Altra carica in ballo, anche quella in scadenza il 31 ottobre, è quella dell’Alto rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza. La sorpresa, contro tutte le attese, cinque anni fa fu Catherine Ashton. Anche questa volta regna grande incertezza anche perché più o meno nello steso periodo, appena prima, scadrà il secondo rinnovo del Segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen. Come accade per Commissione e Consiglio, anche per Altro rappresentate e Segretario generale i nomi dei candidati si confondono. Da una scelta dipende l’altra. All’Alleanza il solo candidato ufficiale (del governo Monti però, un secolo fa) è l’italiano Franco Frattini, ma a Bruxelles ci sono altri nomi tenuti, oggi, in maggiore considerazione. Nei discorsi tra i diplomatici e i capi delle diplomazie europee ai quali abbiamo partecipato i nomi più citati sono quelli del ministro degli Esteri polacco Radoslaw Sikorski, dell’ex ministro della Difesa ed attuale responsabile degli Interni tedesco Thomas de Maizière ed anche quello del belga Pieter De Crem. I turchi però sembra gradirebbero la nomina del loro presidente Abdullah Gul e si avanzano anche i nomi del presidente rumeno Troian Basescu e dell’ex ministro della Difesa (ed ora alla Giustizia) canadese Peter MacKay.
Tutto si tiene, come sempre, e ci sarà, come sempre, anche qualche sorpresa. Il primo passaggio sarà l’elezione del Parlamento. Vinceranno i socialisti (in seggi anche se non in percentuale) come dicono alcuni sondaggi? Possibile, ma non basterebbe a dare una chiave di lettura complessiva.
Lor