Fondi di risoluzione propri e autorità di risoluzione nazionali prima dell’intervento europeo alcuni degli elementi della bozza prodotta dal trilogo. Ma Draghi avverte: “Da solo non basta”
L’accordo sull’unione bancaria sembra avvicinarsi. Le tre istituzioni comunitarie hanno raggiunto in sede di trilogo un’intesa su come dovrà funzionare il meccanismo di risoluzione delle crisi. “Si tratta di un passo avanti fondamentale”, ha sottolineato il commissario europeo per il Mercato interno, Michel Barnier. Un passo avanti su un dossier tanto delicato quanto complesso che ha richiesto la convocazione di un Eurogruppo e un Ecofin straordinari la prossima settimama. La nuova bozza di accordo inter-istituzionale prevede la creazione di una rete di autorità di risoluzioni nazionali, che dovranno agire per porre un freno alle crisi degli istituti di credito laddove se ne dovessero verificare. Saranno loro a intervenire a livello nazionale, con l’Ue pronta in caso di crisi eccezionali.
Si prevede che tutte le banche dell’Ue predispongano un piano di salvataggio, con misure preventive e misure di intervento in caso di difficoltà. In particolare le banche dovranno procedere alla formazione di fondi di risoluzione propri, fondi cuscinetto per assorbire gli shock finanziati dai privati (azionisti e creditori). L’importo di questo fondo strategico dovrà essere pari fino all’1% del valore dei depositi garantiti, e dovrà essere creato “entro dieci anni”. Le e autorità nazionali avranno “poteri e strumenti” per assicurare che gli schock siano assorbiti in modo da “preservare la stabilità finanziaria e proteggere i contribuenti”. Inoltre in ogni stato membro le banche saranno oggetto di verifica da parte dei governi, che avranno il compito di verificare in che modo la risoluzione viene portata avanti e con quale ripartizione dei costi.
Il meccanismo di risoluzione delle crisi bancarie si articolerà su due livelli: un primo nazionale e un secondo europeo, qualora l’intervento nazionale non dovessere essere sufficiente. Una volta a regime, la procedura di risanamento bancario avverrà, secondo l’accordo raggiunto nella notte, in tre fasi: la prima è il ricorso al fondo di risoluzione delle banche, la seconda – se la prima non fosse sufficiente – il ricorso al fondo unico comunitario, la terza – in caso di crisi forte – il ricorso a fondi pubblici. Quest’ultima opzione è tenuta come ultima possibilità ma “solo in casi di circostanze eccezionali e solo dopo un certo livello minimo di ricapitalizzazione attraverso sistemi di bail-in”, vale a dire l’inizione di fondi bancari e privati. In caso di necessità al ricorso di fondi pubblici resterebbero salti i depositi sotto i 100mila euro, e si procederebbe a prelievi sui depositi con ammontare più alti ma sulla base “un trattamento preferenziale”. Vale a dire che prima si faranno pagare azionisti e creditori e solo dopo i correntisti.
In sostanza lo schema ricalca quello già adottato in linea di principio generale nell’Ecofin di martedì: prima di accedere al fondo di risoluzione europeo si prevede il ricorso a risorse private di azionisti (bail-in) pari a un tetto dell’8% degli asset bancari. Qualora le perdite della banca fossero superiori al valore di questa soglia, si avrebbe un ulteriore contributo pari al 5% del valore degli asset bancari, a carico di obbligazionisti, imprese e depositi oltre 100 mila euro, per arrivare così a una soglia di rifinanziamento privato del 13%. La bozza di accordi dovrà ora essere sottoposta all’esame prima dell’Ecofin (ministri dei paesi membri, mercoledì) e poi del Consiglio europeo (capi di Stato e di governo, giovedì e venerdì).
L’unione bancaria ”non è la panacea per eliminare la frammentazione dei mercati finanziari e per raggiungere la piena stabilità nell’area euro”. Proprio mentre a Bruxelles si lavora con frenesia per cercare un accordo sul meccanismo unico di risoluzione dal presidente della Bce arriva un monito chiaro per gli Stati membri. L’unione bancaria, dice Mario Draghi a Strasburgo nel corso del suo intervento in Parlamento europeo, ”è una condizione necessaria ma non sufficiente per rompere il legame tra banche e Stati sovrani e per ricreare una sostanziale crescita economica”. Per avere un’unione tra Stati che sia davvero ”genuina” per Draghi ”non servono solo il consolidamento fiscale e la realizzazione di riforme strutturali, ma servono progressi anche su altri elementi dell’unione”. Supervisione unica e meccanismo di risoluzione, spiega Draghi, ”sono essenziali per avere un quadro normativo comune nei prossimi anni, ma guardando avanti avremo bisogno di un sistema di norme più robusto per i capitali e la liquidità e uno schema più forte per le garanzie sui depositi a livello nazionale”.
Renato Giannetti
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