Bruxelles – Separarsi porta sempre molte conseguenze impreviste ai più, e nel caso della Brexit non è escluso che si possa tornare ad un sistema di visti per viaggiare tra l’Isola e il Continente. Potrebbe essere solo una forma di pressione che Bruxelles vuol esercitare su Londra ora che è chiarissimo che il rischio di arrivare alla data della separazione, il 29 marzo prossimo, senza un accordo che regoli le future relazioni. Ma potrebbe anche essere semplicemente la presa d’atto che, allo stato, l’incertezza è massima, e che se non si giungerà ad un accordo in tempo utile bisognerà in fretta e furia, negli ultimissimi mesi prima di marzo, inventare qualcosa per gestire relazioni che comunque ci saranno e che non avranno più nessuna regola, se non quelle genericamente stabilite dalle norme internazionali, senza alcuna intesa bilaterale perché oltre 40 anni di convivenza nell’Unione europea le hanno cancellate a favore delle regole di convivenza tra Stati Membri dell’Ue.
Quello dei visti è un po’ un problema simbolo. Una delle più forti ragioni per le quali i cittadini britannici che hanno scelto la Brexit lo hanno fatto è stata proprio la paura degli stranieri. Dunque, se non ci sarà un nuovo accordo, Londra dovrà decidere che statuto dare agli ex partner quando chiedono di entrare nel regno, e, reciprocamente (si spera) dovrà farlo anche l’Unione. Ma non è affatto detto che le cose procedano di pari passo, nel senso che Londra potrebbe decidere di non imporre dei visti, e l’Unione invece sì. E’ questa la questione che alla Commissione europea hanno lanciato e lasciato sospesa oggi, presentando un nutrito documento indirizzato a Stati Membri ed aziende per spiegare cosa succederà dopo il 29 marzo.
“Quella dei visti è una questione aperta… dobbiamo vedere come vanno i negoziati”, ha spiegato un alto funzionario dell’Unione che si occupa del dossier. Insomma, se i negoziati andranno bene la questione ovviamente sarà affrontata e risolta probabilmente senza ricorrere a visti, ma se dovessero andar male? “L’Unione si confronta con due classi di Paesi: quelli ai cui cittadini è imposta la richiesta di un visto e quelli a cui non lo si richiede. Si dovrà vedere cosa fare”, risponde il funzionario raccontando l’ovvio, che però in questo caso, in questo momento di difficoltà dei negoziati, suona più come una minaccia che come un’apertura amichevole verso Londra.
Altre conseguenze delle Brexit indicate nel documento sono invece determinate, a prescindere da come andranno i negoziati. Le Agenzie Ue basate in Uk si trasferiranno nel Continente, come è stato per quella del farmaco, e la rappresentanza a Londra diventerà una delegazione diplomatica come c’è in un qualunque Paese terzo.
I problemi sono però grandi, e la maggioranza delle risposte offerte dalla Commissione per la situazione in caso di “no deal” è semplicemente che “non si applicheranno più le regole comuni” tra Ue e Uk.
Una grande questione, spiegano a Bruxelles, “è informare le micro e le piccole e medie aziende, che sono milioni in Europa” su cosa succederà, e dunque si chiede la collaborazione dei governi degli Stati membri perché aiutino ad informare. “E’ serio prepararsi ad ogni evenienza – spiegano i funzionari della Commissione – e dunque anche al caso di non accordo”. Che sembra sempre più probabile e prodromico ad una situazione estremamente confusa, con aerei a terra, dogane bloccate, lavoratori impossibilitati a svolgere le loro funzioni, e anche qualche famiglia con difficoltà a riunirsi.
Intanto questa sera si svolge il primo incontro negoziale tra Michel Barnier e il nuovo ministro britannico per la Brexit, Dominic Raab. Tutti e due i capi negoziatori hanno sottolineato che “il tempo stringe” e che “molti temi” restano ancora aperti, auspicando un’accelerazione del confronto. Domani si riunirà il Consiglio dei ministri Ue “Articolo 50” al quale Barnier riferirà sull’incontro.