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    Home » Politica » L’INTERVISTA / Bertinotti: “La sinistra rinasce su un terreno radicale, non puntando al governo”

    L’INTERVISTA / Bertinotti: “La sinistra rinasce su un terreno radicale, non puntando al governo”

    Intervista all'ex segretario di Rifondazione comunista: "Non c'è più spazio per la socialdemocrazia. Le più grandi conquiste la sinistra le ha fatte all'opposizione, organizzando il conflitto sociale"

    Domenico Giovinazzo</a> <a class="social twitter" href="https://twitter.com/@giopicheco" target="_blank">@giopicheco</a> di Domenico Giovinazzo @giopicheco
    18 Ottobre 2017
    in Politica
    Fausto Bertinotti

    Fausto Bertinotti

    Roma – La crisi della sinistra viene da lontano. Con la “rivincita del capitale” durante gli anni ’80, dopo le conquiste operaie dei “trent’anni gloriosi” precedenti, “le sinistre europee, sconfitte sul terreno sociale, pensano di salvarsi istituzionalizzandosi, separando sé stesse dalla classe operaia, proponendosi come forza di governo”. Secondo Fausto Bertinotti è in questa fase che “avviene la mutazione genetica” delle sinistre europee, le quali si trasformano in “avversari” delle istanze che avrebbero dovuto rappresentare. In questa intervista a Eunews, l’ex presidente della Camera e storico leader di Rifondazione comunista, analizza le cause della crisi della sinistra europea, le possibili vie per una rinascita e i nuovi movimenti in ascesa, da Podemos a Melanchon, con la convinzione che non ci sia più spazio per la socialdemocrazia, perché “oggi la sinistra rinasce su un terreno radicale, non del compromesso sociale”.

    L’ex presidente della Camera Fausto Bertinotti

    Presidente Bertinotti, la sinistra in Europa è in difficoltà quasi ovunque. Quali sono le ragioni di questa crisi?
    Proverei a distinguere due fattori di crisi delle sinistre europee, che si incrociano dando luogo alla situazione disastrosa di oggi. Il primo: la sinistra, nel suo complesso, non ha saputo reagire alla fine del Novecento, che si conclude con il crollo del muro di Berlino. Qui c’è un errore di lettura, si pensava che quella fine riguardasse i partiti comunisti, invece si dovrà imparare poi che riguardava alla stessa misura tutti i partiti del movimento operaio: comunisti, socialisti, socialdemocratici, labouristi. Le sinistre europee non hanno saputo riguadagnare la prospettiva del futuro, re-immaginarsi. Si è pensato che quella gigantesca costruzione politica potesse vivere senza l’ideologia e invece no.

    L’altro elemento?
    Riguarda il secondo dopoguerra. I trent’anni gloriosi che finiscono negli anni settanta, con il biennio ‘68-’69. Quella stagione si interrompe negli anni 80, di fronte a una grande ristrutturazione del capitalismo e una rivincita del capitale: Thatcher nel Regno unito, Reagan negli Usa ne erano i principali interpreti. Nasce un processo nel quale le sinistre europee, sconfitte sul terreno sociale, pensano di salvarsi istituzionalizzandosi, separando sé stesse dalla classe operaia, proponendosi come forza di governo. È il ciclo in cui il centrosinistra va al governo in quasi tutti i Paesi europei, e Blair è la punta di lancia di questo ragionamento. Lì avviene una mutazione genetica con cui le sinistre introiettano la sconfitta e, per poterne uscire, invece di cercarne le origini nella trasformazione della società, si adattano, diventano forze di complemento della ristrutturazione capitalista, e così perdono anima e corpo.

    Allora una parte della sinistra rispondeva alla globalizzazione dicendo che un altro mondo è possibile. Si è dimenticata di dire quale?
    No, io penso il contrario. Penso che quando si è detto ‘un altro mondo è possibile’ ci fossero le basi per una rinascita della sinistra. Il movimento ‘altermondista’ riapre la questione. Solo che le sinistre non erano più in grado di cogliere l’elemento del conflitto, perché erano diventate forze governative. Erano diventati gli avversari.

    La sinistra più radicale ha quindi faticato a trovare referenti politici. Le esperienze di Melanchon in Francia e di Corbyn nel Regno unito indicano che si sta riallacciando quel legame?
    Esattamente. Prima con Syriza, poi con Podemos, poi Corbyn, il Portogallo eccetera. Solo che qui siamo già in un nuovo ciclo. Oggi, intendo nell’ultimo decennio, siamo in una fase di dominio del capitalismo finanziario globale. In questa nuova condizione, di capitalismo finanziario vincente e di sinistre europee omologate, nascono nuovi fenomeni perché il conflitto tra destra e sinistra, mortificato dalla scomparsa della sinistra, dà luogo a un diverso scontro politico: quello tra il basso e l’alto della società. Lo scontro non è più tra destra e sinistra, che sono indistinguibili. La nascita delle formazioni populiste o neopopuliste è l’espressione politica di questo fatto di fondo: il popolo si oppone alle élite. O si ricomincia da qua o si muore, anzi, si continua a essere morti.

    C’è ancora spazio per la socialdemocrazia in Europa?
    Assolutamente no. È uno spazio che non esiste. L’inserimento della costruzione oligarchica europea nel capitalismo finanziario mondiale spezza gli spazi di compromesso. Per questo le sinistre che rinascono lo fanno su un altro terreno, perché non può essere più esplorato quello del centrosinistra e della socialdemocrazia che non esiste più. Oggi la sinistra rinasce su un terreno radicale, non del compromesso sociale.

    Quindi, non si concilia con governi di larghe intese
    Non si concilia con il governo tout court. Il governo socialista francese di Hollande non aveva grandi intese, era da solo, eppure si sono visti i risultati. È in crisi l’impianto politico, programmatico, culturale, il modo di vedere il mondo. La crisi è nella socialdemocrazia non nei suoi alleati. È nel centrosinistra, non nei suoi alleati.

    Come si supera quindi questa crisi?
    Si supera fuori da questo campo, con una sinistra fuori dal campo del centrosinistra, da quello della socialdemocrazia e da quello della governabilità. Podems fa così. Corbyn non ragiona sulle compatibilità.

    L’internazionalismo è da sempre una caratteristica distintiva della sinistra. L’esperienza di Melanchon indica che si sta affacciando una sinistra radicale orientata invece al recupero della dimensione nazionale?
    È vero relativamente. Semmai, il condizionamento maggiore di questa nuova sinistra è il populismo, non la dimensione nazionale. Naturalmente, nel rapporto tra una sinistra radicale nascente e il fenomeno populista entra anche la dimensione statuale accessibile. Quindi, in qualche misura, anche uno scivolamento nazionale. Ma questo non riduce l’orizzonte internazionale, che  probabilmente è anche da ricostruire, ma non vedo il rischio di una caduta nazionalistica. Diciamo che Melanchon usa alcuni tratti della francesità, ma non lo vedo piegato a una deriva nazionalista che non sia quella della tradizione francese.

    C’è invece una deriva sul valore della solidarietà? Fino a pochi anni fa, quando si parlava di accoglienza, a sinistra non si faceva distinzione tra rifugiati e migranti economici
    Qui siamo forse al punto più estremo della mutazione genetica della sinistra politica: farsi dimentichi che la sinistra è nata per gli ultimi e negli ultimi. Questa che continuiamo a chiamare sinistra si è proprio adattata al paradigma del capitalismo vincente. Nella storia che abbiamo alle spalle, sinistra voleva dire una cosa precisa. Era variegata al suo interno, aveva divisioni, ma nessuno pensava che sinistra non volesse dire uguaglianza. Oggi questa convinzione si è erosa e va ricostruita.

    Anche una volta ricostruita, questa sinistra, mi pare che per lei non abbia una prospettiva di governo
    Il governo non è una meta. Questo è un altro elemento della mutazione genetica della sinistra. Il governo, per la sinistra europea, è un’opportunità che a volte si dà a volte non si dà. È interessante il dibattito che avvenne nel Partito socialista italiano nei primi anni sessanta, quando si discuteva se in quel momento storico fosse conveniente o no andare al governo, perché l’opportunità si sarebbe potuta rivelare una trappola. Tanto è vero che i governi di centrosinistra sono quelli che hanno realizzato e accompagnato un drastico ridimensionamento dello stato sociale, la perdita di potere contrattuale dei lavoratori, la precarietà nel mercato del lavoro. Hanno accompagnato la grande controriforma. È dimostrato ampiamente che il governo non è salvifico.

    Se la sinistra non può realizzare il cambiamento andando al governo, lo deve fare con una rivoluzione?
    No. Negli anni settanta, in Italia, si è riusciti a farlo senza andare al governo. La riforma delle Pensioni, il servizio sanitario nazionale, lo Statuto dei diritti lavoratori, la legge sul divorzio, quella sull’aborto: le forze che hanno ottenuto quei risultati non erano al governo ma all’opposizione. Le più grandi conquiste, la sinistra, le ha fatte quando era all’opposizione. Quando è organizzazione di conflitto sociale e di popolo, la sinistra può ottenere risultati anche se non è al governo. È il conflitto sociale il motore della conquista, non l’intervento provvidenziale del governo.

    Tags: #EuropeTogethereuropaFausto BertinottiPsesinistraTogether

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