Roma – Dopo lo scandalo di Federica B., l’assistente del deputato Mario Caruso, fatto emergere dalla trasmissione televisiva Le Iene, i collaboratori parlamentari italiani tornano a chiedere una regolamentazione della loro figura professionale, e propongono l’adozione della normativa prevista per il Parlamento europeo, dove gli scandali non sono mancati, ma rappresentano eccezioni a un sistema strettamente regolamentato, al contrario di quello italiano.
La figura del collaboratore parlamentare è prevista dallo Statuto del Parlamento europeo. L’articolo 21 prevede che i deputati abbiano “diritto ad essere assistiti da collaboratori personali da loro liberamente scelti”, e che il Parlamento copra “le spese effettivamente sostenute per l’impiego degli assistenti”. Il compito di normare il rapporto di lavoro è demandata a una decisione dell’Ufficio di presidenza della stessa Assemblea comunitaria, che ne disciplina i dettagli.
Già qui emerge una prima abissale distanza dal sistema italiano dove la figura dell’assistente parlamentare, semplicemente, non è formalmente riconosciuta. Tanto meno esiste una legge in materia, che pure aveva ottenuto il sì della Camera nella passata legislatura, ma poi è morta al Senato.
Per questo, l’Associazione italiana collaboratori parlamentari (Aicp), con la sua vicepresidente Josè De Falco, chiede che “venga fatta chiarezza”. In Italia, prosegue De Falco, “ogni rapporto di lavoro viene demandato a una contrattazione diretta con il singolo deputato, senza alcun tipo di standard contrattuale di riferimento né di controllo, il che è fonte di opacità e possibili abusi”. Osservando i vari modelli in giro per l’Europa, è proprio a quello europeo che i cosiddetti ‘portaborse’ italiani guardano. Ecco come funziona.
Numero di assistenti – Il regolamento del Parlamento europeo prevede che “all’inizio di ogni legislatura, i questori stabiliscono il numero massimo di assistenti che ciascun deputato può accreditare”. Questo vale solo per i collaboratori che affiancano il deputato nelle sedi europee (Strasburgo/Lussemburgo e Bruxelles), e che attualmente possono essere 3 o, a certe condizioni, salire addirittura a 4. Almeno il 25% del budget riservato a ogni parlamentare per i propri assistenti deve essere utilizzato per quelli accreditati. Non c’è limite per i collaboratori locali, che operano nel collegio di provenienza del parlamentare. In Italia, sono due gli assistenti che possono essere accreditati per l’accesso al Parlamento. Nessun limite per i collaboratori sul territorio.
Il budget – In Europa, è il budget previsto per i compensi a determinare un limite al numero di assistenti che un deputato può assumere. Attualmente ammonta a un massimo di 24.164 euro mensili, vincolati all’effettiva spesa per gli stipendi o i compensi dei collaboratori accreditati e di quelli sui territori. Viste le notevoli differenze nel costo del lavoro tra i diversi stati membri, i deputati che pagano meno i loro assistenti se ne possono permettere di più. In Italia, ogni deputato ha circa 4 mila euro mensili di budget (3.690 i senatori), che però riguardano genericamente le spese per l’attività politica, con l’obbligo di rendicontarne solo il 50% per ottenere l’intera somma. Importo che, per altro, include tanto le spese per gli assistenti quanto, ad esempio, quelle per l’affitto di un ufficio sul territorio di provenienza.
Chi paga – È il Parlamento europeo a versare lo stipendio ai collaboratori accreditati, che stipulano il contratto direttamente con l’Istituzione. Per gli assistenti sul territorio, il deputato deve individuare un terzo erogatore, al quale il Parlamento rimborserà le spese a fronte della presentazione di ricevute e fatture. In nessun caso può essere il deputato a pagare il proprio assistente per ricevere poi un rimborso. Diametralmente opposta la situazione in Italia. L’Istituzione assegna direttamente al parlamentare il budget previsto – anche nel caso non si avvalga di alcun assistente, purché dimostri di spenderne almeno la metà per l’attività politica – ed è questi a provvedere al pagamento dei collaboratori. Una situazione che secondo Riccardo Malavasi, presidente dell’Aicp (Associazione italiana collaboratori parlamentari) può generare “distorsioni e irregolarità”.
I contratti – Gli assistenti accreditati sono contrattualizzati direttamente dal Parlamento europeo, mentre quelli locali hanno contratti di lavoro o di prestazioni di servizio, in cui il parlamentare risulta come datore, ma la gestione è affidata un soggetto terzo erogatore, il quale deve garantire (e dimostrare) il pagamento dei compensi e degli oneri fiscali e previdenziali, oltre a eventuali coperture assicurative per infortuni se previste dalla normativa nazionale. In Italia, la situazione è molto variegata a causa dell’ampia discrezionalità lasciata ai parlamentari. Per il Senato non ci sono dati disponibili. Alla Camera, secondo le cifre fornite all’Aicp dalla presidente Laura Boldrini, dei 628 collaboratori parlamentari (di cui solo 364 hanno diritto di accesso a Montecitorio) il 51% hanno contratti di collaborazione. Il 25% sono inquadrati con contratti di lavoro subordinato, e il 24% con contratti di lavori autonomo.
Retribuzioni – La retribuzione degli assistenti accreditati al Parlamento europeo è fissata dallo Statuto dei funzionari e degli altri agenti, sulla base di una griglia di 19 gradi, indicizzata annualmente. Per i collaboratori sul territorio, invece, è fissato un tetto massimo che varia da Paese a Paese, e che per l’Italia è di 8.253 euro di stipendio lordo per i dipendenti, o di compenso al netto di Iva per i prestatori di servizio. In Italia, non esistono tabelle né limiti di riferimento, ma gli importi percepiti dagli assistenti, secondo alcune stime, si aggirano tra gli 800 e i 1.200 euro netti al mese.