Bruxelles – Il “latte” è quel nutrimento che producono le mucche, le pecore, le capre, e non quel liquido che viene prodotto, ad esempio dalla soia. Lo stesso vale per il burro, lo yogurt, il formaggio eccetera. Lo stabilisce una sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea che farà storia e farà anche storcere il naso a qualcuno. Questo vale, scrivono i giudici, “anche nel caso in cui tali denominazioni siano completate da indicazioni esplicative o descrittive che indicano l’origine vegetale del prodotto in questione”.
La questione è nata da un’azione legale promossa dall’associazione tedesca di tutela della concorrenza Verband Sozialer Wettbewerb contro la società tedesca TofuTown, che produce e distribuisce alimenti vegetariani e vegani con nomi di cibi non vegetali, come appunto “latte” o “burro” e con altre denominazioni simili.
La TofuTown ritiene che i nomi dei suoi prodotti e la sua pubblicità non violino la normativa in questione, perché il modo in cui i consumatori percepiscono tali denominazioni avrebbe subito un notevole cambiamento negli ultimi anni.
Nella sentenza odierna, la Corte rileva che, ai fini della commercializzazione e della pubblicità, la normativa riserva, in linea di principio, la denominazione “latte” unicamente al latte di origine animale. Inoltre, salvo le pochissime eccezioni espressamente previste, tale normativa riserva le denominazioni come “crema di latte o panna”, “chantilly”, “burro”, “formaggio” e “yogurt”, “unicamente ai prodotti lattiero-caseari, vale a dire i prodotti derivati dal latte”.
La Corte da ciò ha concluso che queste denominazioni “non possono essere legittimamente impiegate per designare un prodotto puramente vegetale, a meno che tale prodotto non figuri nell’elenco delle eccezioni (per l’Italia sono solo quattro: Latte di mandorla, Burro di cacao, Latte di cocco, Fagiolini al burro, ndr) , circostanza che non ricorre nel caso né della soia né del tofu”.
La Corte precisa anche “che l’aggiunta di indicazioni descrittive o esplicative che indicano l’origine vegetale del prodotto in questione, come quelle utilizzate dalla TofuTown, non influisce sul divieto”.
La Corte aggiunge, inoltre, che tale interpretazione della normativa di cui trattasi non confligge né con il principio di proporzionalità né con il principio di parità di trattamento. Per quanto riguarda il principio di proporzionalità, la Corte osserva in particolare che “l’aggiunta di indicazioni descrittive o esplicative non può escludere con certezza qualsiasi rischio di confusione nella mente del consumatore”. Quanto al principio di parità di trattamento, la Corte constata “che la TofuTown non può invocare una disparità di trattamento affermando che i produttori di alimenti vegetariani o vegani sostitutivi della carne o del pesce non sarebbero soggetti a restrizioni paragonabili a quelle alle quali sono soggetti i produttori di alimenti vegetariani o vegani sostitutivi del latte o dei prodotti lattiero caseari. Si tratta, infatti, di prodotti dissimili, soggetti a norme diverse”.
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