di Andrea Cori e Salvatore Monni
Appena trascorsi i festeggiamenti per la década della Revolución Ciudadana (Rivoluzione di cittadinanza) è tempo di riavvolgere il nastro e tirare le somme sui risultati raggiunti dalla presidenza Correa, di analizzarne i successi e le occasioni mancate.
Rafael Correa, una vita negli scout e un dottorato negli USA, non incarnava probabilmente nell’immaginario collettivo la figura del classico rivoluzionario, eppure dopo anni d’instabilità politica, gravi crisi sociali ed economiche è stato capace di intraprendere e guidare un processo di cambiamento del paese senza precedenti. La pietra miliare del movimento fu la Costituzione di Montecristi (2008), tra le più moderne e inclusive dell’America Latina, in grado di recepire per la prima volta le istanze della popolazione indigena (il 7 % della popolazione dell’Ecuador) e di elevare la natura a soggetto di diritto.
La prima mossa fondamentale della presidenza Correa fu la riconquista di una maggiore indipendenza finanziaria attraverso la cancellazione di una parte del debito estero con un processo di rinegoziazione che fece scuola. Forte di una ritrovata sovranità nazionale, il passo successivo fu la statalizzazione di gran parte delle rendite petrolifere, fino a quel momento in mano alle principali multinazionali del settore, attraverso la ri-contrattualizzazione delle concessioni estrattive e la maggiorazione della tassa sui profitti petroliferi straordinari.
Fin qui, nel primissimo periodo, furono solo luci e la Revolución Ciudadana con il lancio dell’iniziativa Yasuní-ITT sembrò aprire una strada politica finalmente alternativa catturando l’attenzione e le speranze dell’opinione pubblica internazionale. Tuttavia, nel lavoro di pianificazione che diede origine al Piano Nazionale per il Buen Vivir del 2009, il governo Correa si trovò di fronte ad un bivio: da una parte i dollari del settore estrattivo e dall’altra il tortuoso cammino ecologista introdotto dalla Costituzione. La necessità di rispondere alle difficoltà sociali di un paese che, nei primi anni 2000, si era ritrovato in ginocchio portarono ad una fase di rilancio del settore estrattivo conosciuto dagli studiosi come neo-estrattivismo.
Sostenuto dal boom del prezzo del petrolio, l’Ecuador attraversò tra il 2008 e il 2013 un periodo di crescita economica esponenziale che portò attraverso ingenti investimenti pubblici a progressi straordinari in termini di sanità ed educazione. La strategia di sviluppo messa in atto in questi anni, oltre però ad essere in aperto contrasto con la Costituzione e con i principi fondanti del movimento, ha compromesso il rapporto della Revolución con le comunità indigene amerindie e molti dei movimenti che alle origini del processo rivoluzionario confluivano in Alianza Pais si sono ritrovati ad esserne i principali oppositori. La mancanza di dialogo tra le parti ha generato un clima di tensione che nel corso degli anni ha portato a scontri e a violente repressioni. Da qui le accuse a Correa di autoritarismo, alimentate recentemente dall’approvazione del pacchetto di quindici emendamenti alla Costituzione, tra cui l’abolizione del limite dei due mandati per il presidente e la trasformazione del concetto di comunicazione da diritto in servizio pubblico.
Aldilà delle diverse posizioni, tuttavia, la deriva estrattivista del governo Correa rischia di compromettere fortemente la sostenibilità economica e ambientale del paese nei prossimi anni. Il crollo del prezzo del petrolio sta infatti costringendo il governo a forti tagli nella spesa pubblica mettendo a rischio quegli investimenti in infrastrutture e servizi che nel periodo d’oro hanno reso popolare Correa e contribuito alla ricostruzione del tessuto sociale del Paese. La crescente necessità di fonti di finanziamento estero, inoltre, stanno incrementando eccessivamente la dipendenza verso la Cina, la quale sta rimpiazzando nel controllo delle risorse estrattive l’egemonia statunitense che era stata superata con l’ascesa di Correa.
Che in Ecuador si assista come già in altri paesi al verificarsi della cosiddetta ipotesi della maledizione delle risorse? La possibilità che il paese possa affrontare un periodo di stagnazione dovuto alla dipendenza dal settore estrattivo sembra più che probabile. Correa ha dichiarato che rinuncerà alla candidatura nelle prossime elezioni, ma aldilà di chi sarà il nuovo presidente, la sensazione è che negli ultimi anni si sia persa l’occasione di ristrutturare dalla base il sistema produttivo e garantire al paese una maggiore solidità economica. Inoltre, il prezzo del petrolio, sebbene sia previsto in leggera crescita rispetto agli ultimi anni, difficilmente toccherà i livelli record del primo periodo Correa.
Insomma, le abbaglianti luci iniziali della Rivoluzione di cittadinanza sembrano spegnersi col passare degli anni, alimentate da un combustibile, il petrolio, che brucia troppo in fretta e il cui fumo rischia di coprire alla vista le speranze di crescita future.
Pubblicato su Sbilanciamoci! il 27 gennaio 2017.