di Enrico Grazzini e Thomas Fazi
Il governo deve intervenire sul fronte bancario. Il presidente della BCE Mario Draghi ha calmato i mercati e (almeno per ora) la speculazione che ha colpito molto duramente le banche italiane. Inoltre si scommette sul fatto che il piano del governo sulle bad bank – quelle che dovrebbero raccogliere tutti i crediti deteriorati delle banche – verrà finalmente accettato entro pochi giorni dalla Commissione UE (dopo un impasse durato almeno un anno). Ma un fatto resta comunque certo: il sistema bancario italiano è troppo debole, appesantito da troppi crediti deteriorati, ed è facile preda di furibondi attacchi speculativi. Quindi l’intervento pubblico, e in particolare l’intervento della Cassa Depositi e Prestiti, è più che mai necessario per rafforzare il sistema bancario nazionale. Occorre innanzitutto nazionalizzare il Monte dei Paschi di Siena, la terza maggiore banca italiana. Questa infatti non ha più un azionista stabile e resta soggetta a tempeste speculative. Per mettere al riparo i quattro milioni di risparmiatori di MPS e il sistema bancario italiano occorre un deciso intervento del governo e della Cassa Depositi e Prestiti.
La CDP guidata da Claudio Costamagna e da Fabio Gallia ha infatti le migliori possibilità di intervento dal momento che, pur se controllata dal Tesoro e dalle Fondazioni bancarie, è giuridicamente una società privata: e quindi è fuori dal perimetro del bilancio pubblico. I suoi debiti non sono debiti di Stato: la CDP ha quindi, almeno sulla carta, ampia libertà di manovra di fronte alla UE. E dovrebbe giocare il ruolo maggiore per salvare e rafforzare il sistema bancario italiano. Basterebbero circa 300 milioni per diventare l’azionista di controllo di MPS, dal momento che le azioni della banca, nonostante la recente rimonta, hanno perso molto valore. 300 milioni non sono troppi per una CDP che pochi giorni fa ha presentato un piano industriale da 260 miliardi di euro. Del resto in Francia e in Germania lo Stato controlla già direttamente molti istituti bancari. Occorre procedere rapidamente alla nazionalizzazione , anche se l’Unione europea (diretta di fatto da Germania e Francia), in nome di una falsa unione bancaria europea, intende contrastare ogni azione pubblica nazionale con il pretesto di contrastare gli “aiuti di Stato”. Dopo che la Germania ha però già dato 250 miliardi di aiuti pubblici alle sue banche. Due pesi e due misure, come sempre, in questa Unione europea sempre più a guida teutonica.
L’unione bancaria europea è invece una disunione perfetta, perché i risparmiatori di ogni paese per la prima volta sono chiamati a pagare per i dissesti delle loro banche nazionali, e perché (per volontà esplicita del ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble) manca un fondo pubblico europeo che garantisca i risparmi dei cittadini europei e la copertura della Banca centrale europea come garante di ultima istanza. Si tratta di un attacco diretto al sistema bancario italiano, che rischia di venire soffocato da una montagna di crediti deteriorati pari a 360 miliardi, poco meno del 20% di tutti gli impieghi. Le conseguenze di una crisi bancaria sistemica sarebbero incommensurabili. C’è quindi la urgente necessità di un deciso intervento pubblico. Un polo pubblico è indispensabile anche per ridare ossigeno e credito alle aziende e alle famiglie italiane.
A fine giugno 2015, i prestiti deteriorati delle banche italiane ammontavano a 360 miliardi di euro, pari al 18% del totale; all’interno di questo aggregato, le “sofferenze”, quindi i prestiti considerati irrecuperabili, ammontavano a 210 miliardi (10,3% degli impieghi). Molte aziende e famiglie non sono più in grado di ripagare i prestiti. La crisi provocata dalla suicida austerità imposta da Bruxelles (con la complicità dei governi Monti, Letta e, finora, Renzi) ha colpito duramente. In questa situazione è difficile uscire dalla crisi. Se il governo non vuole ripetere su scala nazionale il disastro delle piccole quattro banche regionali, la cui crisi è stata pagata dagli azionisti e dagli obbligazionisti junior, dovrebbe mobilitare immediatamente la CDP. Se la CDP non interviene la situazione rischia di precipitare.
Da quest’anno infatti, a causa delle norme assurde e ingiuste dell’unione bancaria europea, i risparmiatori e tutti gli obbligazionisti saranno chiamati a pagare i dissesti bancari provocati dalla crisi, generata proprio dall’austerità europea e molto spesso dalla corruzione e dalle malversazioni criminose dei vertici bancari. Un progetto che colpisce gli Stati più deboli e fa a pugni con la Costituzione italiana, e che potrebbe mettere in ginocchio soprattutto le banche medie e piccole di territorio. I risparmiatori fuggiranno prevedibilmente dalle banche minori verso le grandi banche internazionali ritenute più sicure a causa delle loro enormi dimensioni. È per questo motivo che le maggiori banche internazionali hanno promosso e salutato con gioia l’avvento dell’unione bancaria. Ma questa falsa unione potrebbe anche far cadere il governo Renzi. Il premier, dopo l’esperienza di Banca Etruria e delle altre banche in crisi, ha capito che deve scontrarsi con la UE se vuole rimanere in sella.
La nazionalizzazione di una grande banca come MPS è indispensabile per ridare fiato all’economia, soffocata dalla mancanza di moneta creditizia, e per evitare che il risparmio italiano cada completamente in mani straniere. In Germania e Francia molti istituti di credito nazionali e locali vedono già la partecipazione azionaria e il controllo dello Stato: in Italia invece lo Stato si è ritirato completamente da tutte le banche lasciando il passo ai capitali internazionali. Il risparmio nazionale rischia di finire completamente in mani straniere.
La CDP ha però un vincolo oggettivo: non può assolutamente mettere a rischio i soldi dei risparmiatori postali. Ha quindi bisogno di trovare sul mercato nuovi finanziamenti per decine di miliardi, non solo per risollevare il sistema bancario ma gran parte dell’industria strategica nazionale, che sta passando in mani estere (vedi i casi di Telecom Italia e dell’Ilva). Come trovare nuove ingenti risorse? Finora la soluzione prospettata da CDP è di puntare alla partnership con il capitale straniero e con i fondi sovrani esteri, arabi, cinesi, ecc. Ma esiste anche un’altra soluzione: la CDP potrebbe emettere miliardi di obbligazioni a lungo termine (per esempio 20 anni) garantite dallo Stato. Grazie all’accordo con lo Stato, le obbligazioni CDP potrebbero essere accettate nel medio termine (per es. dopo 3 anni) come sconto fiscale pari al loro valore nominale. I titoli CDP non subirebbero allora oscillazioni e svalutazioni, in quanto pienamente garantiti per “pagare le tasse”. Lo Stato, in cambio della sua garanzia fiscale, otterrebbe un credito verso la CDP pari al valore delle obbligazioni utilizzate come sconto fiscale. Così non aumenterebbe il debito pubblico e la CDP riuscirebbe finalmente a finanziare nuovi investimenti e ad attuare una efficace politica industriale. Senza un deciso intervento pubblico non si uscirà mai dalla crisi.
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