Bruxelles – Provano una “sensazione di ingiustizia” si sentono “cavie di un nuovo esperimento” dell’Unione europea e non capiscono perché Bruxelles voglia “dedicare tanto tempo ed energie a quello che succede in Polonia quando tanti problemi meritano di essere risolti ovunque in Europa”. I membri del governo di Varsavia, messo sotto accusa dalla Commissione con l’apertura di una procedura per la tutela dello stato di diritto, continuano a mostrarsi increduli di fronte al polverone sollevato dagli interventi sulla Corte costituzionale polacca e dalle norme sui media pubblici. Di fronte alla plenaria del Parlamento europeo di Strasburgo, la premier polacca, Beata Szydlo fatica a nascondere il fastidio per quello che definisce apertamente come un “dibattito fuori luogo”.
“La nostra storia ci ha insegnato una lezione: i problemi polacchi devono essere discussi e risolti in Polonia perché ogni volta che si sono frapposte parti terze è stato disastroso”, mostra il suo disappunto Szydlo, secondo cui “questo dibattito deve essere effettuato nel foro che gli compete e cioè il parlamento polacco” e non certo in quello europeo. Di più: è la premier polacca a dirsi “preoccupata” perché bisognerebbe “elaborare una nuova cooperazione in Europa che permetta di evitare tali dibattiti che non portano a nulla”.
Perché discutere del funzionamento della Corte costituzionale? “Funziona molto bene in Polonia è in perfetto stato” e il funzionamento è simile a quello di altri tribunali europei. Per non parlare della legge sui media: quella polacca che mette le emittenti del servizio pubblico radiotelevisivo sotto il controllo del ministero del Tesoro è “praticamente basata sugli stessi principi della legislazione italiana quindi non c’è niente di diverso da quanto non sia stato già fatto”, si mostra incredula Szydlo.
La Polonia, insiste quindi “non merita di essere oggetti di vigilanza da parte della Commissione Ue perché nel Paese non ci sono violazioni dei diritti umani o dello stato di diritto” e le scelte del governo sono effettuate “nel pieno rispetto della legislazione polacca e dei trattati europei”. Siamo “uno stato sovrano, una nazione libera”, rivendica Szydlo. A togliere ogni dubbio sulla legittimità delle azioni polacche, secondo il capo del governo di Varsavia, dovrebbe bastare poi il mandato popolare ricevuto: “La decisione del popolo – spiega – ci ha obbligato a presentare questi cambiamenti, era il patto tra noi e i polacchi e abbiamo cercato di attuare le promesse fatte”.
Nonostante le convinzioni, la Polonia decide però di collaborare con Bruxelles. E così come per il dibattito in plenaria, a cui la premier non crede ma si presta, così il ministro della giustizia Zbigniew Ziobro, risponde in modo celere e dettagliato alla richiesta di chiarimenti arrivata dal vicepresidente della Commissione, Frans Timmermans. Una lettera, quella ricevuta oggi dal braccio destro di Juncker, dai toni molto diversi da quella di poche settimane fa, in cui lo accusava di essere “di sinistra” e di fare per questo pressioni ingiustificate sul governo polacco.
Nella missiva Ziobro ringrazia Timmermans per un “approccio basato sui fatti” e si dice “felice” che il commissario abbia assicurato di non volere “sfidare il risultato di elezioni democratiche in Polonia” e garantisca invece di “rispettare la sovranità” del Paese. Il ministro polacco assicura che le azioni del governo sono guidate dal rispetto dello “stato di diritto” e della “libertà di espressione e di associazione”. Poi Ziobro si lancia in una dettagliata spiegazione del perché il governo polacco non abbia applicato due sentenze della Corte costituzionale, principale obiezione mossa da Timmermans al momento dell’apertura della procedura, concludendo che le decisioni prese “restaurano il pluralismo” della Corte e negando che le modifiche introdotte possano “paralizzare” il tribunale.
La lettera “sarà valutata in modo costruttivo e cooperativo”, assicura davanti al Parlamento europeo Timmermans, sottolineando che “siamo all’inizio del processo” e la procedura aperta “ha natura preventiva e non implica decisioni future” da parte della Commissione che “lavorerà in modo non partigiano come farebbe con qualsiasi Stato, in linea coi compiti attribuitigli dai trattati”.