La vittoria, chiara, netta, bella, di Alexis Tsipras nelle elezioni greche per l’Europa non significa, purtroppo, niente. E’ arrivata tardi, sarà difficilissima da gestire, riguarda, alla fine dei conti, un piccolo paese, marginale nell’economia dell’Unione, che ora tenterà, giustamente, di rallentare il rispetto dei suoi impegni, quando però oramai la maggior parte dei problemi che c’erano nei suoi riguardi sono stati superati. Non significa un cambiamento di verso per l’Unione europea, anche se gli equilibri nel Consiglio europeo cambieranno un poco, e potrebbero cambiare anche nella Commissione se, come si immaginava nei giorni scorsi, il prossimo presidente greco sarà l’attuale commissario (popolare) agli affari interni Dimitris Avramopoulos, che lascerebbe dunque il posto ad un nuovo uomo di Syriza.
Non è una vittoria “contro la Troika”, strumento barbaro e dannoso, contro il quale Tsipras ha condotto la sua campagna elettorale. La Troika è già stata superata dai fatti anche se sulla pelle dei greci i suoi atti bruciano ancora, e che anche la Commissione europea non riconosce più come utilizzabile. Lo ha detto, in maniera ermetica, il presidente dell’esecutivo comunitario Jean-Claude Juncker, lo ha detto in maniera esplicita e categorica il suo commissario agli Affari monetari Pierre Moscovici, lo dicono oramai i diplomatici a Bruxelles. Quel tipo di controllo, tecnocratico e sciagurato, che per giunta si è scoperto, per ammissione stessa dei suoi membri davanti al Parlamento, usava dei punti di rifermento “sbagliati” nell’imporre le sue politiche, non ci sarà più.
La vittoria di Syriza, bella, entusiasmante, coinvolgente, con piazze piene di gente festante, sarà probabilmente un problema per la Grecia, non perché Tsipras e i suoi non saranno in grado di governare, no, lo saranno benissimo, certamente non sono meno in grado di farlo delle forze, come il Pasok e Nea Democratia, che hanno portato il Paese nel baratro e poi pretendevano di salvarlo. Non saranno però in grado di realizzare il “sogno greco”, neanche se gli fosse concesso, da domani, di smettere di pagare il loro debito, anche se alcune idee apparentemente buone, o per lo meno ragionevoli, per il ripianamento del debito, come il proporzionale i pagamenti all’andamento del Pil, stanno arrivando. La Grecia è un Paese povero, come hanno spiegato bene economisti oculati Antonis Samaras, il premier uscente, ha presentato dei dati sull’andamento dell’economia che non rispondo alla realtà. Non sono falsi, ma non dicono la verità. Il Pil greco, quello reale, non è in aumento, come quello nominale, ma è in contrazione, i soldi non ci sono. Tsipras potrà rinegoziare i termini del pagamento del debito, ma non potrà cancellarlo. Tra poche ore lui sarà il primo ministro, non più il leader dell’opposizione, e non potrà, non vorrà portare la Grecia fuori dall’Unione, non potrà permettere il default, non potrà far nulla che, nella realtà delle cose, peggiorerà ancora le condizioni di vita dei suoi cittadini.
Cittadini elettori che poi non sono neanche, in buona parte, di sinistra, e sono anche pochi. Ricordiamo che a votare ieri è andato poco più del 60 per cento dei greci, e che dunque a votare per Syriza è stato solo il 36 per cento di quel 60 per cento. La maggioranza dei greci o non è con Tsipras o sta lì, sfiduciata, a guardare che succede, pronta a imporre un nuovo cambiamento.
Probabilmente Tsipras tra qualche giorno denuncerà gli imbrogli dei conti fatti dal governo di Samaras. Non potrà farne a meno per avere un po’ di respiro, per poter spiegare che tutto quello che avrebbe voluto fare non potrà farlo. In fondo anche Samaras si è votato al suicidio politico perché sapeva bene che non c’erano le condizioni per continuare fingendo che la situazione si stesse aggiustando. Qualcosa Tsipras cercherà di fare e, anzi, qualcosa farà. Ma non potrà far tutto. E questa prima chiara e netta vittoria della sinistra in Europa, non del centrosinistra, ma proprio della sinistra, resterà una “questione greca”, che non porterà alcun cambiamento nella nuova linea già tracciata per la politica economica dell’Unione, che ora è concentrata sulla crescita, e non più sul risanamento dei conti, e dove i problemi ora si chiamano Francia e Italia, che se anche fossero, come si spera, davvero in via di soluzione, certamente destano molte più preoccupazioni concrete che la piccola economia greca.