Cosa sia il Jobs Act che Matteo Renzi sta per mettere in campo per combattere la disoccupazione non si sa bene. Di sicuro non è una legge sul lavoro, sennò i suoi ideatori l’avrebbero chiamata così. Allo stesso modo, quando alcuni anni fa Roberto Maroni si inventò il Ministero del Welfare, a sostituzione di quello del Lavoro e della Previdenza sociale, nessuno poteva dire con certezza cosa significasse in quel caso “welfare”. Ma di certo c’era che non voleva dire né lavoro né previdenza sociale. Anzi queste erano chiaramente le parole che si volevano evitare. Succede molto spesso in Italia che quando non si vuole dare a una cosa il proprio nome ci si nasconda dietro un inglese improprio. Come se l’inglese conferisse automaticamente a qualunque cosa una patina di rispettabilità che in italiano non avrebbe. È il parlare per nascondere, nella tradizione degli intramontabili azzeccagarbugli nazionali che quando hanno esaurito le risorse di opacità della nostra lingua cercano soccorso altrove, oggi nell’inglese, che per tutti i versi è sinonimo di efficienza e modernità. Così nell’inglese misterioso del burocratese falso efficientista tutto diventa bello e auspicabile solo perché non è italiano. Per fortuna che “mafia” non si traduce, perché se ci fosse una parola per dirla in inglese, magari finirebbe per piacerci anche quella. Sia il ministero di Maroni che la legge di Renzi rivelano una grande paura in Italia a chiamare certe cose con il loro nome. Previdenza sociale e lavoro di questi tempi non sono certo di moda. Anzi diventano innominabili al punto da scomparire dalla nostra lingua.
A guardarci da vicino, di per sé Jobs Act in inglese non significa nulla o indica genericamente una legislazione in materia di occupazione. Ma l’espressione “American Jobs Act” fa invece preciso riferimento a due leggi proposte dal Presidente Obama nel 2011 e intese a rilanciare l’occupazione senza pesare sul bilancio. Provvedimenti specificamente americani, poi modificati da emendamenti del Congresso e del Senato e ancora in corso di applicazione. Forse a questo si vuole richiamare chi ha chiamato Jobs Act la legge di Renzi, nobilitando così il nostro neo-Primo ministro al rango di un Obama italiano. Fatto sta che le citate leggi americane non sono collegabili alla realtà italiana, quindi ancora una volta il nostrano Jobs Act non significa nulla, se non forse un imperativo rivolto al defunto Steve. Un altro degli slogan obamiani passato brevemente nella nostra lingua fu il “yes, we can!” della fallimentare convenzione veltroniana. Presto girò per la rete deformato in ogni forma possibile di errore diventando fra le tante varianti anche un criptico “yes, we’ll can!” In inglese americano, fra i possibili significati: “Sì, licenzieremo!” Forse un involontaria e precoce sintesi del Jobs Act.
Diego Marani